Inquinamento Spiaggia“Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte” la frase è tratta da “Il gabbiano Johnathan Livingstone” di Richard Bach, uno di quei libri che dovrebbe sempre farci compagnia sul comodino perché offre la visione, la dimensione del cuore e della mente e non solo quella materiale che viviamo. Ho sentito il bisogno di riprenderlo dopo aver letto uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e riportato sul web dall’Huffington Post, il titolo è emblematico: “Nel 2050 il 99% degli uccelli marini avrà un po’ di plastica nello stomaco”. Così ho immaginato il gabbiano Johnathan librarsi in cielo nell’ultimo volo e poi cadere in picchiata per non risalire più. E quanto il nostro destino assomiglia al suo!

Nel mio libro “Com’è profondo il mare” (Chiarelettere) ho denunciato i pericoli dell’abbandono della plastica in mare, (oltre alla pericolosa deriva della nostra società dei consumi in cui si è rotto l’equilibrio tra economia e natura), le stime sino ad ora conosciute parlavano di un milione di uccelli marini morti all’anno! Ma il report dei ricercatori del Commonwealth Scientific and Industrial Research (Csiro) australiano e dell’Imperial College London scende ancora più in profondità con previsioni agghiaccianti. Stando al ritmo di crescita attuale, tra 35 anni quasi ogni esemplare di volatile avrà ingerito la plastica proveniente da rifiuti lasciati sulle spiagge o in acqua. Nel 1960, ad esempio, solo il 5% dei volatili presentava frammenti nello stomaco, nel 2010 erano l’80%. Attualmente la percentuale si attesta intorno al 90%.! Gli uccelli marini scambiano i microframmenti di plastica per pesci e li ingeriscono. Tutti gli oceani come ci conferma lo studio ne sono pieni “non ne esiste più uno pulito”, ma il Mediterraneo soffre ancora di più per le sue caratteristiche di mare chiuso. La plastica qui si concentra e diventa cibo non solo per gli uccelli marini, ma per le tartarughe, i cetacei, i delfini e per una miriade di altri pesci entrando nella catena alimentare, arrivando sino a noi. Cosa potrà provocare l’ingresso di questa plastica avvelenata (purtroppo assorbe tutte le sostanza inquinanti che abbiamo riversato in mare) nei cicli naturali e nel nostro organismo? Ancora la scienza non lo sa. Che fare allora? Certo bisogna raccoglierla, le iniziative di varie associazioni ambientaliste sono meritevoli, servono a realizzare consapevolezza del problema, ma bisogna capire che solo così non si può arrivare ad una soluzione, recuperare tutta la microplastica dagli oceani (un giovane olandese ci sta provando) sarebbe come proporsi di svuotare il mare con un cucchiaino!

Non bisogna gettarla più, anzi a monte non bisogna più consumare la plastica inutile, quella usa e getta, il polietilene, quella (come bottiglie, buste, bicchieri etc) che in una frazione di secondo diventa un rifiuto inutile. Bisogna tassare la plastica inutile per restituirgli un valore, creare così un deterrente che spingerà a cambiare le produzioni, verso plastiche bio, plastiche davvero biodegradabili e compostabili, e poi accogliere le innovazioni che già la scienza ci propone. Per fare qualche esempio, un giovane ingegnere ha inventato reti da pesca completamente biodegradabili, si può realizzare plastica dai gusci dei gamberetti…Insomma servono azioni coraggiose e concrete da parte di governi e amminstratori locali (il governo olandese destinerà una quota della plastica ripescata dal mare alla realizzazione del manto stradale), ma anche di ciascuno di noi. Portatevi la vostra “sporta” quando andate a fare la spesa (come suggerisce il sito www.portalasporta.it), riprendete ad usare il vetro, acquistate detersivi (ecologici) e cibi nei dispenser, iniziate a pretendere questa forma di somministrazione nei supermarket, evitate di acquistare prodotti con imballaggi inutili, ma, soprattutto, cercate di consumare solo ciò che è indispensabile, il pianeta ve ne sarà grato. Prendiamolo come una meta, una sfida, una specie di “missione” che va oltre la nostra quotidianità.

Perché “quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte”.

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