Premetto di non aver alcuna simpatia personale per le imposte sugli immobili previste dalle leggi vigenti nel nostro Paese, non fosse altro che per il meccanismo diabolico in base al quale l’unico immobile di cui sono proprietario mi viene considerato come “seconda casa”(perché ho spostato la residenza) con conseguente sensibile aggravio nell’imposta pagata e perdita del beneficio di detrazione per gli interessi pagati sul mutuo.

Aggiungo che con una pressione fiscale elevata come quella che caratterizza il nostro Paese, qualunque riduzione delle tasse dovrebbe essere salutata con sollievo.

Eppure la promessa di Renzi di “fare il funerale alle tasse sulla casa” non convince per almeno 3 ragioni banali:

1) senza un corrispondente taglio della spesa pubblica (come osservato da Carlo Cottarelli, ex commissario alla Spending Review) qualsiasi “riduzione” delle imposte costituisce di fatto una manovra meramente cosmetica che ne rinvia l’onere al futuro, aggravandolo per via degli interessi da pagare sul debito;

2) tra le imposte sulle quali intervenire, quelle gravanti sul patrimonio immobiliare sono una scelta subottimale perché meno distorsive rispetto alle altre;

3) last but not least, in un Paese caratterizzato da elevata pressione fiscale non appare saggio intervenire in riduzione proprio sulle imposte che più difficili da evadere.

Con riferimento al punto 1), la spesa pubblica rimane il convitato di pietra di qualunque discussione sul rilancio dell’economia del nostro Paese: senza un intervento significativo, che non si limiti alla solita retorica sugli sprechi (che peraltro raramente porta a qualche intervento concreto che pure sarebbe insufficiente) difficilmente si può immaginare qualche via d’uscita dal ristagno ultra decennale che caratterizza la crescita economia italiana

Con riferimento al punto 2) tutte le imposte hanno effetti distorsivi sul comportamento degli individui: un imprenditore che deve pagare allo Stato il 65,4% (dato 2014 Banca Mondiale) dei profitti commerciali, valuterà bene il sacrificio marginale e l’impegno necessari per ottenere ogni nuovo euro di utile e preferirà astenersi dall’investire nella propria attività se ritiene che la quota che gli resta al netto delle tasse sia troppo esigua. Parimenti, il proprietario di un immobile che deve pagare delle imposte rilevanti sarà incentivato a metterlo a reddito. Dunque il nostro Paese ha bisogno di meno tasse sulle imprese e i lavoratori per favorire investimenti e consumi, non di minori imposte sugli immobili che (assieme ai meccanismi penalizzanti sul rientro in possesso di quelli locati) costituiscono un incentivo a lasciarli inutilizzati.

Dulcis in fundo, è un po’ paradossale che la stessa parte politica, che ha tra i suoi cavalli di battaglia la narrazione che rende l’evasore un nemico contro il quale organizzare una “lotta” più che il colpevole dell’infrazione di una legge da perseguire, scelga come imposta da tagliare proprio quella che ha la base imponibile collegata a beni inscritti in pubblici registri e risulta per questo più agevole da monitorare.

Non volendo  passare per il solito gufo rosicone, che non è mai contento, vorrei chiarire in conclusione che l’intento di ridurre le imposte è di certo lodevole e va nella direzione giusta, tuttavia è opportuno che:

1) la riduzione sia vera e non da propaganda elettorale, perché tagliare le tasse senza ridurre la spesa vuol dire rinviare il problema a un futuro in cui si riproporrà con gli interessi;

2) dovendo ridurre le tasse, si cominci da quelle che scoraggiano in misura relativamente maggiore l’attività economica.

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