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Nonostante la storia dell’uomo sia stata caratterizzata da delle élite che hanno soggiogato i popoli, ci sono sempre stati uomini e donne che hanno sentito quella forza interiore, quell’istinto alla libertà che li ha portati a dissentire e a denunciare. Da dove sgorga quel coraggio e quel desiderio di rompere gli schemi?

La forza di questi individui sta nella capacità di essere disposti a pagare le conseguenze del proprio dissenso. La differenza tra chi ha represso quella pulsione per evitare le conseguenze e chi invece esponendosi ne ha subite è il desiderio dei primi di far prevalere un sentimento di libertà. Quel sentimento che ha smosso la giovane scrittrice olandese Etty Hillesum che dalla sua baracca di Auschwitz,  dove poi morì nel novembre del 1943, trovò la forza di scrivere: “Trovo la vita bella e mi sento libera”. Penso ad Aleksandr Solgenitsyn che ha denunciato l’orrore dei gulag, egli scrisse: “Ciascuno di noi si faccia coraggio e scelga: o restare servo cosciente della menzogna oppure decidere che è giunto il momento di riscuotersi”.

Penso a Gandhi, che a un certo punto ha dismesso le vesti del benestante avvocato inglese per indossare quelle del suo popolo oppresso dall’imperialismo britannico. Perché il Mahatma invece di proseguire la carriera in Inghilterra donò tutta la propria vita per la liberazione dell’India?

Penso al nostro Roberto Saviano che dopo la laurea invece di precipitarsi a cercare un posto in banca o in una grande azienda si è fermato e ha denunciato il potere della camorra, cioè di un grumo di parassiti appoggiati dallo Stato che incancrenisce sempre più fette crescenti del nostro territorio nazionale. Un’infezione che ha colpito settori sani della nostra economia e che già da troppo tempo ha contaminato ricche aree geografiche dove oggi si riproduce il vero potere delle mafie.

Sono tanti i nomi di coloro che si potrebbero ricordare che ad un certo punto hanno sentito l’istinto e innescato quel colpo d’ali che ha fatto elevare il pensiero di tanti. Così è stato per Etienne De La Boétie e il suo Discorso sulla servitù volontaria. De La Boétie ha scritto quest’opera straordinaria che era poco più di un adolescente, un testo breve che è un’iniezione di coraggio ai tanti Truman odierni rinchiusi in set virtuali e reali edificati da coloro che ci vogliono consumatori e non cittadini.

“Non c’è bisogno di combattere questo tiranno, né di toglierlo di mezzo; si sconfigge da solo, a patto che il popolo non acconsenta alla propria servitù. Non occorre sottrargli qualcosa, basta non dargli nulla”, scrive De La Boétie.

Oggi a causa dell’omogeneità del pensiero dominante (una dittatura della maggioranza per parafrasare Tocqueville) veicolato dai mass media, temo sia la fase storica in cui quell’istinto a svelare le ingiustizie del potere di turno sia maggiormente represso. Rischiamo di far sempre in più la mesta fine della rana bollita.

Sì, il nostro periodo storico temo sia quello in cui l’istinto ad essere libero è maggiormente represso. Perché? Perché paradossalmente oggi siamo “liberi”: una libertà fittizia. Siamo liberi di comprare tutto. Tutto è in vendita, tranne il coraggio. Quel coraggio che ti fa lanciare il pensiero oltre la cortina, oltre quelle sbarre che separano coloro che hanno scelto di essere schiavi e coloro che invece si sentono prigionieri e quindi non complici del potere che li domina.

Così è stato per Etienne De La Boétie e il suo Discorso sulla servitù volontaria, un’opera che per tanto tempo è stata dimenticata. Circa cinque secoli fa De La Boétie scrisse pensieri attualissimi: “Vorrei soltanto riuscire a comprendere come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città e tante nazioni talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finché sono disposti a tollerarlo, e non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anziché opporglisi (…) Questo vostro padrone che vi domina ha solo due occhi, due mani, un corpo, niente di diverso da quanto possiede l’ultimo abitante delle vostre città, eccetto i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite… Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi”.

L’unica rivoluzione che non crea controrivoluzioni è quella fatta da un popolo che gode di quella virtù auspicata da Rousseau. La rivoluzione credibile è quella sociale non elitaria. Le rivoluzioni politiche sovente sono diventate una sostituzione del potere dominante, infatti a esse sono seguite controrivoluzioni reazionarie ancor più totalitarie.

La vera sfida è tentare di innescare una consapevolezza che parta dal basso senza pretese elitarie, un corto circuito culturale che possa condurci verso quella libertà auspicata dal giovane scrittore francese Etienne De La Boétie e da tutti/e coloro che non si sono mai arresi al potere dominante.

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