Dieci anni dopo l’uragano che uccise 1833 persone, e costrinse altre 400mila a lasciare le loro case, New Orleans conosce una strana ripresa. Alcuni quartieri della città sono tornati a una vita normale. Buona parte dei residenti è rientrata nelle loro case. Il turismo è in una fase di boom, ristoranti e locali sorgono un po’ ovunque. Eppure altri quartieri restano desolatamente vuoti. Migliaia di persone – molti di queste afro-americani – hanno lasciato per sempre New Orleans e ora vivono ad Atlanta e Houston. I più poveri, anche questi molto spesso neri, sono diventati ancora più poveri. La città, nel suo risorgere, è risorta soltanto per alcuni.

Dieci anni dopo Katrina, appare chiara soprattutto una cosa. Katrina non è stato soltanto l’evento naturale più distruttivo che ha colpito gli Stati Uniti dai tempi delle tempeste di sabbia degli anni Trenta. Katrina ha cambiato nel profondo il tessuto demografico, umano, civile, culturale, di una delle città con più storia e cultura degli Stati Uniti, mettendo a nudo limiti e illusioni del Sogno Americano. Da un lato, ci sono infatti i segni e la volontà di ripresa di una città che fu all’80% devastata dai venti e dalle acque. Oggi 40 dei 72 quartieri della città (numeri del Data Center, un gruppo di ricerca della Louisiana) hanno riconquistato almeno il 90% della popolazione precedente il 2005. Sedici di questi quartieri hanno più residenti di quanti ne avessero prima che gli argini cedessero.

Migliaia di persone, tra cui molti afroamericani, hanno lasciato per sempre la città. I più poveri, anche questi molto spesso neri, lo sono diventati ancora di più

Oggi a Katrina vivono circa 385mila persone; l’80% di chi c’era prima del 2005. Il sindaco democratico Mitch Landrieu, che ha sostituito il contestato Ray Nagin, vola in questi giorni proprio ad Atlanta e Houston, le città della diaspora dei vecchi residenti, per mostrare quello che la sua amministrazione ha fatto in termini di scuole, strutture sanitarie e sociali. Basta del resto fare una rapida camminata per il centro cittadino, per vedere i segni della ripresa. Caffè, ristoranti, locali sono stati aperti nei luoghi “classici” della città: il French Quarter, il Garden District, il National World War II Museum. C’è il nuovo Crescent Park lungo il Mississippi River; Bywater è il quartier hipster e giovane e il mercato storico di St. Roch, distrutto dalle inondazioni, è tornato a nuova vita. La grande cultura musicale di New Orleans continua a fiorire attorno a Bourbon Street e a Frenchmen Street, mentre le gallerie di St. Claude Avenue
richiamano una delle scene artistiche più interessanti d’America.

I segni esteriori della ripresa sono confortati dai numeri. Nel 2014, hanno visitato New Orleans 9 milioni e mezzo di persone. Le entrate degli hotel – che hanno aumentato la loro capacità ricettiva – sono di mezzo miliardo di dollari più alte rispetto al 2004. New Orleans ha oggi 600 ristoranti in più rispetto a dieci anni fa. Alla vecchia cucina, una delle più rispettate d’America, fatta di tradizione creola, prelibatezze ai crostacei, beignets, gumbo, si sono aggiunte le offerte di eateries vietnamite e ispaniche, locali fusion, etnici, di avanguardia culinaria che si sono raccolti attorno ai grandi, storici ristoranti come Galatoire’s e Brennan’s. Un fiume di investimenti pubblici e privati ha rivitalizzato intere zone, soprattutto quelle sulla riva ovest del Mississippi, il cosiddetto “sliver by the river” non toccato dalle inondazioni, richiamando residenti middle-class in aree che erano soprattutto operaie.

Boom del turismo, ristoranti e locali aprono un po’ ovunque. Ma la città, nel suo risorgere, è risorta soltanto per alcuni

Tutto bene, dunque? Tutt’altro. Sotto la patina lucente della nuova New Orleans continua a vivere una città povera, problematica, disperata. Un giro per il Lower Ninth Ward, uno dei quartieri più poveri, abitato da afro-americani, ne è l’esempio più eclatante. Buona parte dei vecchi residenti non sono più tornati dopo il 2005. Molte case non ci sono più, travolte dall’acqua, e oggi una sterpaglia alta e secca si muove al soffio del vento. Le strade sono piene di buche, non esistono negozi o supermercati, in alcuni casi i vecchi condomini bassi e in mattoni rossi, oggi pericolanti, isolati da strisce di plastica gialla e puntellati da travi in legno, sono abitati da famiglie poverissime, con frotte di bambini che giocano tra le rovine.

Anche qui qualche numero può tornare utile. Circa 100mila afro-americani non sono più tornati dopo Katrina. Gran parte della diaspora di New Orleans è dunque fatta di neri poveri, che hanno perso le loro cose e le loro case nei quartieri più colpiti dalla violenza delle acque. Le diseguaglianze, in città, sono cresciute. Nel 2013 (dati Urban League) l’entrata media di una famiglia di afro-americani in città è stata di 25mila dollari, contro i 60mila di una famiglia bianca.

L’abbandono di una parte dei vecchi abitanti si riflette anche sulla rappresentanza politica. Per la prima volta negli ultimi anni è stato eletto un sindaco bianco, un district attorney bianco e un city council a maggioranza bianca

Dal 2005, il divario tra redditi medi di bianchi e neri è aumentato del 37%. Nei quartieri dove la vecchia edilizia pubblica è stata sostituita da abitazioni per la classe media – B. W. Cooper, Florida Development, Iberville – i neri non rientreranno più. Gli stessi pochi residenti del Lower Ninth Ward dicono che molte case sono state dichiarate pericolanti, anche se non lo sono, in attesa che la gente lasci per sempre il quartiere e possano iniziare lucrosi progetti di riqualificazione edilizia. L’abbandono di una parte dei vecchi abitanti si riflette anche sulla rappresentanza politica. New Orleans ha votato per la prima volta, negli ultimi anni, un sindaco bianco, un district attorney bianco e un city council a maggioranza bianca.

La vecchia New Orleans, insomma, non esiste più; una città nuova, che riflette molte delle disparità della società americana, sta nascendo. “E’ come se mancasse un colpo, una battuta, alla banda dei fiati nella parata del martedì grasso”, dice Tracie L. Washington, direttrice del “Louisiana Justice Institute”. Evacuata dopo Katrina, la Washington è tornata a vivere in una città diversa.

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