di Dario Fo e Franca Rame

Breve introduzione

poer nanoNel 1986 finalmente il presidente degli Stati Uniti concesse a Franca e a me il visto per entrare in America. Avevamo fatto domanda già cinque anni prima, ma allora non avevamo ricevuto il permesso d’ingresso. Scherzando, raccontai ai giornalisti – i quali quasi all’unisono presero la mia storia per buona – che Ronald Reagan era venuto a sapere che tanto me quanto Franca eravamo teatranti. Al che il presidente avrebbe risposto con gran serietà: «Scusate, ma questa è gente del mio stesso mestiere, non posso continuare a sbatter loro la porta in faccia!».
E così arrivammo a Boston, al teatro dell’università di Harvard, per debuttare con Mistero buffo e Parliamo di donne, e poi proseguire in tutte le città più importanti degli States. Non si trattava però solo di recitare, ma anche di partecipare a degli incontri nei vari atenei dove ci saremmo dovuti esibire nel ruolo di maestri tenendo delle vere e proprie lezioni nelle quali presentare il nostro
concetto di teatro, fino a svelare le tecniche impiegate dai comici dell’arte nell’Europa del Seicento. Per andare sul sicuro entrambi avevamo preso appunti riguardo al canovaccio degli interventi.
Una settimana appresso, l’interprete che ci seguiva, dopo aver sbirciato quegli scritti, esclamò: «Ma questo è un testo di tecnica teatrale da stampare immediatamente!».
Franca era d’accordo, e così, negli intervalli fra un debutto e una lezione, cominciammo a stendere la sequenza degli argomenti da sviluppare.
Finita la tournée con la quale ci eravamo esibiti da New York a Washington, da Baltimora a Los Angeles, tornammo in Italia e presentammo a Einaudi il testo che intitolammo Manuale minimo dell’attore. Con nostra grande sorpresa quello scritto venne tradotto nelle principali lingue straniere e il numero di edizioni fu impressionante.
Per anni gli editori ci spinsero a scrivere il seguito, magari intitolandolo Nuovo manuale minimo dell’attore. Promettevamo a tutti di sì, ma avevamo in ballo programmi irrimandabili. Finalmente, tre anni fa, Franca e io ci siamo decisi. Eravamo già a buon punto con la scrittura quando sono rimasto solo. Con una certa fatica sono riuscito a portare a termine il testo. Eccovelo.

L’arte della scena e la quarta parete

Insomma, recitare con Franca è stata l’occasione di apprendere l’arte della scena, come frequentassi un’accademia. Di più, imparavo a vivere la finzione come fatto scientifico.
Questa fortunata occasione ho deciso di condividerla con voi partendo dalla scoperta della quarta parete.
Cos’è la quarta parete, cosa significa? È la condizione in cui si viene a trovare normalmente il pubblico che assiste alla rappresentazione nello spirito del «guardone».
Cioè sta spiando al buio, non visto, una storia che gli attori stanno vivendo al di là del proscenio, in piena luce, come se stessero recitando senza rendersi conto che sono ascoltati da centinaia di persone. Questa è la peggiore condizione che possa capitare a un attore.
«Bisogna assolutamente distruggerla questa quarta parete – sbottava Franca –, fare in modo che ogni spettatore esca da quello stato d’animo deleterio e ascolti libero da condizionamenti, o meglio con una partecipazione consapevole e, al contrario, trasformi la qualità della suaattenzione, a costo di assumere un atteggiamento critico nei riguardi del dramma o della commedia.»
«Ma come ci si può riuscire?» chiedevo io.
«Col trucco – rispondeva Franca –, approfittando di un casuale incidente o addirittura creandone uno d’acchito, così da spezzare il ritmo e ricreare in ogni spettatore la cosiddetta “presenza”, non anonima ma personale. In questi vent’anni di palcoscenico ho raccolto un gran numero di espedienti, alcuni dei quali davvero geniali.
Uno dei campioni assoluti dello sfascio di questo clima nefasto – insisteva Franca – è stato senz’altro Totò. Un altro “spaccaparete” implacabile era Petrolini, che ricordo
solo per i filmati. «Da entrambi ho imparato il trucco dell’accoglimento.

La satira, la censura, il potere

Nessuna forma di potere, sia esso religioso, dispotico,militare, totalitario e perfino quello che, almeno sullacarta, si dichiara democratico, riesce a sopportare la satira e l’ironia, proprio perché entrambe tendono a ridurre il potere in mutande o, peggio, completamente nudo.
Con la censura Franca e io abbiamo avuto un impatto piuttosto negativo fin dal primo momento in cui ci è riuscito di parlare a un microfono della radio o di fronte a una telecamera.
Il mio debutto come autore e interprete di un varietà satirico è avvenuto proprio alla radio, avevo circa ventidue anni. Lo sketch in cui mi esibivo aveva per titolo Poer nano, l’esclamazione che in Lombardia ogni madre usa con tenerezza nei riguardi del proprio figliolo. Equivale al «poro cocco» dei romani. Nella puntata d’apertura mettevo in scena la storia di Caino e Abele, dove Caino è un ragazzotto piuttosto impacciato e goffo, sia nei movimenti che nelle idee, e soprattutto si ritrova tormentato da disavventure a dir poco clownesche. Tutto a rovescio nate di quanto accade al fratello, Abele, ammirato da ognuno per la sua bellezza e per le sue espressioni gentili e cariche di fantasia che commuovono gli angeli e soprattutto il Padreterno. Il Creatore ha una smaccata predilezione per questo figliolo. Al contrario non sopporta le cantogrossolane e i gesti da citrullo di Caino. Anche gli animali ridono di lui e lo canzonano. Abele, giocando, si libra quasi nell’aria, leggero, Caino salta, inciampa in un ramo e atterra col muso dentro un pantano maleodorante.
Abele recita inni d’amore al Creatore, Caino è stonato e riesce a trasformare in bestemmia anche la più semplice delle preghiere. Il prediletto da Dio bacia un fiore e ne assapora il profumo, Caino bacia il fiore e viene aggredito da un vespone annidato nel fiore che lo becca proprio sul labbro.
E così da beffa a sproloquio, al colmo della disperazione, ecco che Caino, esasperato dal confronto crudele che ognuno fa di lui con il fratello, acchiappa un bastone e uccide il dolce Abele. Caino esplode in un pianto disperato. Dio di lassù esclama: «Guai a chi tocca Caino. Mia è la colpa. Lo ammetto, quel figlio mi è riuscito male. Poer nano!».
Agli spettatori, soprattutto ai più giovani, proprio per il candore e l’assurdità con cui era presentata, quella favola piacque molto, quindi i responsabili dello spettacolo me ne commissionarono delle altre. Così recitai, in una chiave molto simile, Davide e Golia, quindi Sansone e Dalila che, armata di forbice, rende calvo il gigante. Poi Rigoletto e il duca sciupafemmine, Giuditta e Oloferne, tutte storie che venivano presentate senza alcuna malizia e tantomeno spingendo sull’osceno.
Per esempio, nella storia di Davide e Golia, il gigante appare subito più simpatico del ragazzo destinato a vincere. E questo per la semplice ragione che Golia è uno che si commuove e in cuor suo trova vergognoso misurarsi con un avversario che potrebbe schiacciare con una pedata. E, di questo, Davide approfitta per sorprenderlo e abbatterlo con un colpo di fionda. E alla fine si scopre che il gigante è quasi contento di finire abbattuto, giacché il vincere contro un ragazzino sarebbe stato per lui una mascalzonata. Poer nano!
Un altro episodio che gioca a capovolgere il ruolo dei due antagonisti è quello in cui Achille si confronta con Ettore. Qualcuno fra i dirigenti intuì che il successo di pubblico del Poer nano non era determinato dal candore dei personaggi, ma dal fatto che, nel modo di presentarlo, il perdente storico fra i due saliva enormemente nella simpatia e nella considerazione di ognuno. Quindi
alla fine risultava sempre lui, lo sconfitto, l’autentico vincente.
Ma soprattutto quei dirigenti avevano scoperto, dopo la bellezza di diciassette puntate, che gli eroi cantati dalla tradizione erano presentati, tutti o quasi, come dei malamente, direbbero a Napoli, cioè approfittatori, scaltri e oltretutto infami. E questo faceva sì che le mie storie fossero ritenute altamente diseducative, soprattutto per i giovani. Ecco la ragione per cui alla fine, pur riscuotendo
sempre più successo, la storia del Poer nano fu sospesa e l’autore, cioè il sottoscritto, sbattuto fuori.

Brani estratti dal libro Nuovo Manuale minimo dell’attore di Dario Fo e Franca Rame (Chiarelettere)

 

Articolo Precedente

Dario Fo: “Oggi c’è meno censura, è sufficiente il ricatto silenzioso”

next
Articolo Successivo

Millennium, Lisbeth Salander è tornata: ecco “Quello che non uccide”. L’autore: “Sono disposto a qualsiasi confronto”

next