Per mesi è stato il politico più presente sulle prime pagine, il volto pubblico per antonomasia dell’Europa tecnocratica, il custode inflessibile dell’euro. Wolfgang Schäuble è divenuto ormai un’icona popolare, una sorta di anti-eroe, come è doveroso che ci sia in ogni racconto. Di lui, però, si sa poco. E’ un personaggio che si concede raramente a racconti personali, ma quando lo fa dimostra di saperci fare con i media. Per mesi un noto regista tedesco, Stephan Lamby, lo ha seguito con la videocamera da vicino e ha approntato un documentario per la televisione, andato in onda lunedì sera con il titolo Macht und Ohnmacht (“Potenza e impotenza”).
A 72 anni il “dottor Schäuble” – come lo chiama l’amico-rivale Varoufakis – ha una carriera politica alle spalle come pochi in Germania. La sua biografia riflette la storia tedesca degli ultimi decenni. I non giovanissimi lo possono ricordare come un brillante politico destinato a una carriera fulminante, fedelissimo di Helmut Kohl, probabile successore di quest’ultimo, il ministro degli Interni che appose la firma al trattato di riunificazione della Germania. Splendori ma anche declini. Prima l’attentato durante un’iniziativa elettorale che lo condanna sulla sedia a rotelle, poi la delusione ricevuta da Kohl e la mancata candidatura a cancelliere, infine lo scandalo sui finanziamenti illegali alla Cdu che gli costa la presidenza del partito a vantaggio di Angela Merkel. 
Il documentario ripercorre tutti i momenti del duello con l’ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis. Uno scontro giocato sia negli incontri dell’Eurogruppo – di cui il regista mostra anche alcuni dietro le quinte di Schäuble con i suoi collaboratori più stretti – sia a distanza sulle pagine dei giornali. Con il suo protagonismo l’uomo di Berlino attira i riflettori su di sé e rischia di scompaginare tutto. Che abbia un piano B non è un mistero per nessuno. Schäuble non lo dice, ma preferirebbe che Atene uscisse dall’euro. “E’ stato lui in persona a dirmelo in un nostro incontro a marzo”, racconta Varoufakis. “Cercò di convincermi della necessità del Grexit, che così sarebbe stato meglio per la Grecia e per l’Europa”.
Era, quella di Schäuble, una posizione personale? Ha oltrepassato i limiti del proprio ruolo? Quando parla nei vertici tutti ascoltano in silenzio, “considera l’Europa una sua creatura”, ma stavolta esagera. “Wolfgang – racconta di avergli chiesto Varoufakis – ce l’hai un mandato? Se non ce l’hai, queste sono discussioni puramente accademiche”. Quel mandato, Schäuble non ce l’ha, Angela Merkel non approva l’uscita di Atene dalla moneta unica. Del resto, il ministro tedesco non ammette di aver preso l’iniziativa su questo punto nelle trattative con Varoufakis. “Tutto può essere, abbiamo parlato tanto. Ma noi nell’eurogruppo non eravamo finora abituati che uno andasse a raccontare ai giornali il contenuto di conversazioni confidenziali. Varoufakis ha introdotto un nuovo costume”.
Il resto è cronaca o quasi. La cancelliera si mette di traverso. Il primo segnale arriva alla fine di maggio. Angela Merkel prende in mano il pallino del gioco e invita la numero uno del Fmi Christine Lagarde e il presidente della Bce Mario Draghi a un vertice a tre sulla crisi, nonostante Schäuble avesse da poco incontrato i due a Dresda. Le trattative tra Europa e Grecia sembrano arrivate a un punto di stallo, invece arrivano due colpi di scena. Primo, il referendum indetto a sorpresa da Tsipras. Schäuble sottovaluta la situazione. L’esito del voto arriva inaspettato. “Onestamente, non avevo fatto previsioni, visto che non ho alcun sentore di quale sia il clima in Grecia. La mia conoscenza è limitata a quel che leggo sui giornali tedeschi”, risponde ai giornalisti. Il secondo boccone da digerire è l’annuncio di Angela Merkel che insiste sulla necessità di un accordo e rilancia un’ultima offerta al governo di Atene. Schäuble il potente deve inchinarsi e sottomettersi all’autorità.
“Non mi sono mai adeguato“. Eppure Schäuble, il fedele servitore dello Stato, si è trovato già altre volte la strada sbarrata. Da Helmut Kohl, primo fra tutti, il quale, invece di cedergli il passo nella corsa al cancellierato, rimase fino all’ultimo aggrappato alla sua carica, “perché solo lui avrebbe potuto portare fino in fondo l’introduzione dell’euro in Germania”. O, ancora, come quando per ragioni di Stato si trovò costretto a dimettersi dalla presidenza del partito per aver incassato un finanziamento occulto di 100.000 marchi dal commerciante di armi Karlheinz Schreiber. Correva l’anno duemila, la Cdu di Helmut Kohl cadeva sotto lo scandalo dei fondi illeciti. Per Wolfgang Schäuble significò la fine di un sogno e l’arrivo di Angela Merkel. Il vecchio cancelliere Kohl si ritirò dalla scena politica e si limitò a dire che aveva raccolto oltre due milioni di vecchi marchi con la promessa di non rivelare l’identità dei finanziatori. Oggi Schäuble torna su quel capitolo e lancia una frecciatina al mentore politico di un tempo: “Non c’era nessun finanziatore“.
Una frase che può voler dire molto. Ad esempio, che quel denaro nelle casse della Cdu provenisse in realtà da scandali più remoti, da fondi neri elargiti a pioggia dal grande gruppo industriale Flick a tutti i partiti a cavallo tra gli anni ’60 e ’80. Anche Kohl era sulla lista della spesa ma fino a oggi si riteneva che avesse preso in consegna “solo” 565mila marchi. Ora, la frase dell’ex delfino Schäuble potrebbe far pensare che la somma fosse più alta, molto più alta, e che il vecchio cancelliere si sia inventato la storia della “parola data” per non ammettere l’origine autentica di quel denaro.
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