Palmira distruzione 3

C’è da domandarsi a cosa serva che i musei italiani mettano le bandiere a mezz’asta, in segno di lutto, per la barbara uccisione di Khaled Asaad, archeologo di 82 anni barbaramente ucciso dall’Isis. Sì, a cosa serve mettersi in lutto per un uomo se si è stati capaci di ignorare costantemente il massacro quotidiano in Siria. Appena una settimana fa, un bombardamento aereo dell’aviazione siriana su un mercato a Duma, sobborgo di Damasco, ha causato cento morti. In Siria, le vittime da entrambe le parti sono quasi cento al giorno. E che dire dei 250 mila morti, o oltre, che hanno insaguinato la terra si questo paese? Non serve a nulla il lutto per Asaad, nè serve continuare a postare ossessivamente le foto delle rovine di Palmira in questo esercizio d’indignazione che dura il tempo che trova. Ci si è chiesti come ha vissuto Asaad in questi anni di guerra o come la popolazione a Palmira stia vivendo ora?

L’ecatombe in Siria la (ri)scoprima solo quando c’è una morte “sensazionale”. C’è bisogno di nuovi livelli di barbarie per risvegliare la coscienza latitante della nostra “civiltà” – come piace definirla a qualcuno. Asad, il dittatore siriano, sa di avere di fronte un’opinione pubblica che non si indigna per le uccisioni a livelli industriale. Ha ragione a pensarla così. Una bomba sganciata su un villaggio della provincia di Idlib che provoca un’ecatombe fra i cittadini è una morte consueta, noiosa, di cui possiamo fare a meno d’interessarci. L’Isis uccide meno siriani – si calcola che il regime di Damasco ammazzi sette volte di più che l’Isis – ma lo fa con spettacolarità, in una costante ricerca di attenzione mediatica.

La morte orribile di Khaled Asaad è un ennesimo, ottimo, risultato dello Stato Islamico che aumenta la sua fama, la sua presenza sui giornali, certo che queste sono il genere di morti che cerca il pubblico. Nello stesso tempo, all’aumentare della fama di questi fanatici, il dramma siriano continua a scomparire. E’ facilissimo, per il commentatore di questa parte del Mediterraneo, in Europa, parlare solo dell’Isis e cancellare il contesto, la Storia. Fatto ciò, si arriva immediatamente all’assunto: in Siria c’è l’Isis e Assad, tutto quello c’è in mezzo e che è stato è semplicemente cancellato.

Ciò deriva dalla sindrome dell’11 settembre, da questo incubo che si annida in ogni scelta di politica estera e che ha pervaso il senso comune popolare quando ci si approccia al Medioriente. La Storia del mondo arabo, gli eventi accaduti anche solo una settimana fa che possono spiegarci l’oggi, è scomparsa perché ci basta banalizzare ciò che resta della tanto, nostra, amata culla della civiltà. Due anni fa, alle prime ore del 21 agosto, venivano usate armi chimiche contro i civili di Ghouta, periferia di Damasco. Si contarono oltre 1000 morti che qualche giorno dopo vennero già dimenticati, come accadrà presto per Khaled Asaad. Il 21 agosto del 2013 la famosa linea rossa di Obama veniva superata. Sono passati due anni e nulla è cambiato: i siriani continuano a morire, altri attraversano il mare e altri ancora rimangono a casa loro. 

Vorrei appellarmi a chiedere che tutti i morti siriani vengano considerati e celebrati ugualmente, altrimenti si smetta definitivamente di parlare della Siria. Lasciateci vivere nel nostro inferno.

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