Plaza_Mayor- Madrid

Dal 1 Agosto 2015 ho ringraziato Roma per tutto quello che di bellissimo mi ha dato e mi sono trasferito a Madrid. Sia perché Roma per lavorare ai miei ritmi e con la qualità che cerco non è più la città adatta, sia per motivi familiari.

I tre ragazzi di mia moglie (che è madrilegna) sono “qui” già da qualche anno, due miei figli su tre sono in Scozia per lavoro e iniziare università (che “lì” è gratuita) – la terza è quasi pronta per l’“estero” (qual è per me ora ‘l’estero’?). A breve, sarà un sei su sei “out” dall’Italia. In sempre più famiglie italiane è così – ma pare che la cosa interessi poco.

Solita domanda: “ma è giusto che i ragazzi fuggano dall’Italia?” Certo non lo è, ma al Centro–Sud per molti è vista come una questione di salvezza, e la salute (fisica, mentale, culturale) viene prima di tutto. Quindi ora Madrid, e cambio vita. Mi piacerebbe montare un po’ di scenografia e dire che lavoro a definire le strategie della scuola che dirigo per l’ambito spagnolo e latino americano, ma in realtà… per ora sto studiando grammatica come uno scolaretto! 6 unità al giorno in 3 ore, per arrivare al livello B2 entro settembre e smetterla di fare balbettii e figuracce: di cui la più memorabile (anni fa…) fu l’espressione “Me duolen las gambas”, ma gambas è un ‘falsos amigos’, vuol dire ‘gamberi’- gambe è piernas!!

Una grammatica che è anche ‘del vivere’ e del muoversi in sensibilità diverse, seppur sempre europee. L’aspetto dell’umiltà è poco sottolineata dagli ‘esperti del cambio vita’, ce ne vuole parecchia, sopportare figuracce, ritornare ad essere per un po’ ospiti marginali sulla scena.

Pur mantenendo il mio attuale ed amatissimo lavoro, ho immaginato come avrei potuto riadattarmi qui – come a Londra, o ovunque – se disoccupato o con tempo disponibile. Ho riscoperto e tirato fuori dei punti di forza mai considerati – nel mio caso ad esempio potrei fare con qualche probabilità di successo il maestro di tennis o di sci – oltre che ricercare un lavoro nel…no profit.

Coprire i punti di debolezza (es. lingua), investire sui punti di forza –magari scoprendoli – è un passaggio significativo.

Il lavoro di ripensarsi e ripensare, investe poi i rapporti a distanza. Alcuni rimangono al filtro della distanza, altri sfumano, altri la distanza li avvicina. Non ho mai sentito tanto e così bene mia figlia da quando lo scorso anno, diciannovenne, si è trasferita a Londra. A parte i soliti Whatsapp e Viber, riusciamo anche a fare il pranzo di famiglia della domenica virtuale: tablet a tavola collegato skype, lei mangia nella sua stanza noi nel nostro salone, vedendoci e parlando, poi caffè…doppio! Sono molto più in contatto con gli amici ora di quando ero a Roma (quando ho tempo lo chiamo), e la gioia di sentirsi e rivedersi è doppia.

Persino l’identità cambia, anche nelle basi fisiologiche: “io sono uno che quando gioca a tennis o corre, suda tantissimo”. E’ un dato relativo a Roma e Bangkok (tasso di umidità sempre più simile) ma non certo a Madrid (clima secchissimo, che piacere – e tra l’altro niente zanzare) o Londra (molto meno umida e piovosa di Roma).

Il ‘’sono un buon conversatore”: sarà valido in Italia, già meno a Londra, ma in Spagna per chi come me, confonde gambe e gamberi, è meglio parlare di meno e studiare le grammatiche.

Più viaggio ed ‘entro’ nei posti, più mi sembra che la principale qualità dell’uomo sia non la ricerca del potere o del profitto, del confort o della condivisione, ma quello della costruzione. Qui hanno costruito in modo meraviglioso ondate di popoli, dai Cartaginesi ai Romani, dai Visigoti agli Arabi, e Castigliani, Catalani, Baschi e quant’altro, in un crogiuolo inestricabile di identità.

Per questo un pensiero credo sia bello per chi viene all’estero – oltre al ‘come sopravviverò’-: “Come posso migliorare questo posto, cosa posso costruire?” Già porsi nell’ottica di portare valore, tira fuori il nostro valore e ci fa apprezzare di più. Direi anche che questo pensiero dovrebbe essere centrale ed identitario (ovunque!) per chi lavori nel nonprofit.

Tornando a Roma (solo letterariamente, e a quella antica delle Memorie di Adriano): “Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che è la vita stessa delle città…Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici…”

E mi piace qui ricordare che Adriano, il mio imperatore romano preferito, era Spagnolo.

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