King’s Quest è una di quelle belle storie che ci fa sentire teneramente e serenamente, se non proprio vecchi, ormai maturi, navigati, sicuri di averne vista abbastanza di acqua sotto ai ponti da poterci permettere una patetica sviolinata nostalgica in onore dei bei tempi andati. La serie, del resto, ha esordito più di vent’anni fa, in un periodo in cui i videogiochi avevano pochi colori, generalmente acidi, ed era impossibile dipingere mondi immaginari credibili e fotorealistici. A conti fatti era una grande fortuna per i videogiocatori di quel passato remoto, ancora orfani di social network e tendenze il cui arco vitale fosse decretato dal numero di visualizzazioni su YouTube. Si sognava ancora ad occhi aperti davanti a un display e le avventure grafiche, più di ogni altro genere, assomigliavano tremendamente ai romanzi vista la buona dose di fantasia necessaria per immergersi completamente nel racconto e prendere sul serio le responsabilità della propria missione.

Certo, era faticoso dare credito a un mucchietto di pixel raggrinziti – c’era l’ormai anziano Re Edward, ma nei panni del giovane e temerario Sir Graham, in quella primavera del 1983 – e avreste dovuto recuperare tre preziosi manufatti per assicurarvi il trono del Regno di Daventry. Serviva spirito d’osservazione e buona memoria per portare a termine il difficile compito in quello che fu il primo e riuscitissimo tentativo dell’allora giovanissima Roberta Williams, con la collaborazione di Sierra Entertainment in veste di publisher, di tramutare le sue visioni e fantasie in un videogioco che fosse supportato dai principali pc dell’epoca.

Oggi si faticherebbe a reggere i ritmi soporiferi del gioco e a digerirne il limitatissimo gameplay. Eppure, all’epoca, King’s Quest registrò un successo tale che permise la realizzazione di ben otto sequel ufficiali più qualche spin-off. Pur aggiornando costantemente la veste grafica e tirando in ballo anche altri protagonisti, nelle successive iterazioni le meccaniche ludiche si sono sempre attenute alle regole auree impostate dal capostipite, conoscendo solo nel 1998, con Mask of Eternity, un’evoluzione, persino mal digerita dagli irriducibili. Fa strano, dunque, sapere che The Odd Gentleman, piccola software house californiana, si sia proprio ispirata alla pecora nera della famiglia per imbastire la rinascita in grande stile, il reboot, della saga. Dopo diciassette anni, King’s Quest è tornato con un episodio che verrà rilasciato a puntate, a cadenza regolare, sui principali store digitali di pc, PlayStation 4 e Xbox One.

A Knight to Remember, primo segmento dell’avventura, recupera le ambizioni action di Mask of Eternity, pur restando fedele al proprio genere di appartenenza. Mentre il vecchio Graham racconta alla sua dolce nipotina le gesta che lo hanno reso re, il videogiocatore, nei panni dalla controparte più giovane del narratore, dovrà esplorare oscure caverne e sfidare vigorosi cavalieri armato di arco, coraggio e della sua innata furbizia. Per lo più, dovrete vedervela anche questa volta con semplicissimi enigmi da risolvere raccogliendo gli oggetti nelle ambientazioni dopo averli scovati. Tuttavia vi capiterà persino di dover fuggire quando inseguiti da giganteschi draghi o di utilizzare l’arco per eliminare ostacoli e quant’altro. Si tratta di brevissime sezioni in cui è necessaria una rudimentale abilità con il pad: nulla di così invasivo, beninteso, ma i puristi potrebbero comunque trovare fuori luogo queste variazioni sul tema. Ciò che conta, tuttavia, è che oggi come allora la struttura narrativa regge e i personaggi che si avvicendano sulla scena sono sufficientemente carismatici e spiritosi da tenere incollato allo schermo il videogiocatore sino alla conclusione di questo primo episodio.

Se questo è solo l’inizio, non possiamo che dare il bentornato a King’s Quest. Saremo invecchiati nel corpo, ma lo spirito, sempre in cerca di nuove storie da cui lasciarsi affascinare, è lo stesso di un tempo.

A cura di Lorenzo Fazio

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