di Virginia Della Sala

L’hanno già definito il “Netflix del porno”. Ma in fondo, è a Netflix che dovrebbe far gola avere il numero di utenti e l’archivio (per dimensioni, sia chiaro) di Pornhub, che fornisce, gratis, video hard sul web: 60 milioni di visitatori al giorno – come se tutti gli italiani vi si collegassero almeno una volta quotidianamente – e più 4 milioni di video. Sito che ieri ha annunciato il lancio di un servizio di video in streaming che si chiamerà Pornhub Premium: dopo una settimana di prova gratis, basterà pagare 9,99 dollari al mese per avere contenuti a pagamento sette giorni su sette, vedere 100 mila video esclusivi conservati nei server della società, sbarazzarsi di pubblicità e banner, fruire di un prodotto in alta definizione su qualsiasi dispositivo mobile, dallo smartphone al tablet. E avere accesso alla più vasta collezione di titoli del mondo.

Certo, in questi termini sembra la solita pubblicità per gli abbonamenti della pay-tv. Ma la notizia, in questo caso per tempistica e soggetto promotore, è rivoluzionaria. Pornhub è stata (almeno fino ad ora) una delle più grandi e più famose piattaforme di video streaming pornografico gratuito. Fa parte della costellazione dei cosiddetti tube sites (così definiti perché si ispirano al formato di Youtube), come YouPorn e RedTube che impiegano più banda di quanto non facciano Facebook, Amazon o Twitter. Almeno fino a ieri, il loro compito è stato distribuire gratuitamente grandi quantità di video e materiale hard. Gratuitamente, fa bene ripeterlo, facendo morire una dopo l’altra le tradizionali case di produzione hard. O costringendole a cambiare i loro modelli di business, indirizzandole verso la pubblicità online e gli accordi con i grandi player.

Contattata dal Fatto, Pornhub ha risposto di non poter fornire informazioni finanziarie ma ha sottolineato che il modello di business finora utilizzato da loro è quello della raccolta di pubblicità sul web. Raccolta che, a quanto pare, potrebbe non bastare più. O forse l’obiettivo è, come suggeriscono alcuni web strategist, riuscire a educare gli utenti ai contenuti a pagamento proprio in virtù della loro posizione dominante. In questo modo ne guadagnerebbero tutti, produttori e intermediari.

“Stiamo cercando di conquistare la corona di ‘Netflix del porno’ – ha detto Corey Price, vicepresidente di Pornhub –. Con la quantità colossale di contenuti che potremo fornire e l’aggiunta di tonnellate in più al giorno, siamo sicuri che la nostra base di fan sarà pronta ad abbracciare questo prodotto e rafforzare la nostra posizione come principale fornitore di video on-demand per adulti”. Nessuna crisi, insomma: solo la necessità di adeguarsi ai tempi che cambiano. La società ha infatti dato altri due importanti annunci. Il primo è che sta lavorando alla creazione di un’applicazione per Android. Il secondo è l’integrazione della realtà virtuale a partire dal 2016. Qui c’è la vera rivoluzione. La produzione dell’hard è uno degli ambiti di applicazione favoriti per il mercato degli Oculus Rift, gli occhiali per la realtà virtuale comprati da Facebook nel 2014 per 2,2 miliardi di dollari e pronti a essere lanciati proprio nel 2016.

Indossandoli ci si immerge in una scena a 360 gradi: muovendo la testa si esplora l’ambiente, si vedono immagini ravvicinate, i rumori si diffondono in modo realistico. È come entrare nella realtà a cui si assiste. E Facebook non ha imposto alcuna limitazione in merito all’applicazione di questa tecnologia (un silenzio che stona se si considera la rigida policy imposta sui social network in materia di pornografia), pensata principalmente per i videogiochi. Anche la concorrenza, invece, si sta preparando. Sui Gear VR di Samsung sono stati già fatti test a luci rosse, con volontari che si sono offerti di ricreare e rivivere pellicole a realtà virtuale, mentre decine di start up hanno già lanciato app e materiale per l’utilizzo degli Oculus rift: alcune forniscono anche sex toys abbinati al video che si decide di acquistare e guardare. In questo fermento, Pornhub potrebbe essere l’interprete dei cambiamenti che sta vivendo il mondo del porno e spingere per primo, in modo graduale, gli utenti a pagare anche per i contenuti hard. A partire da ora, toccherà alle case di produzione stare al passo con le opportunità offerte da queste tecnologie.

Il Fatto Quotidiano, 8 agosto 2015

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