napolislam 675x675“Tu parli sempre di Allah, Rosaria, ma la nutella te la mangi? Ma che c’azzecca mamma, mica ‘nda nutella ce sta la carne di maiale”. E’ una risposta semplice ad una domanda altrettanto semplice che rivela la confusione totale di una madre di fronte a sua figlia che a Napoli ha abbracciato la religione musulmana.

Non vi è aggressività ma piuttosto stupore e curiosità, come quella che si registra quando un’altra madre spiega nel documentario Napolislam che la scelta fatta dal figlio di diventare musulmano è una scelta “da sua”, quasi a volersi scusare, e il figlio che ribadisce la sua libertà e il rispetto che sua madre ha per questa decisione, tanto da incaricarsi di andare a comprare la carne halal per suo figlio.

Ma da dove nasce questa apparente serenità che caratterizza questo fenomeno di islamizzazione di molti giovani napoletani? Sicuramente Napoli è una città in cui la convivenza con le contraddizioni ha favorito una capacità di accoglienza di ciò che è diverso, più che in altre realtà.

Il punto di vista degli immigrati, quelli che si vedono davanti al piazzale della stazione, è senza dubbio diverso da quello di quelli che vivono in molte città del nord, le cui amministrazioni comunali praticano politiche di ostacolo più che di integrazione. In generale si registra un clima di maggiore apertura in cui l’Islam non è considerato una religione estranea. Il ragionamento è semplice: l’Islam è una religione portatrice di valori universali e questi non sono solo valori arabi ma proprio dell’essere umano, quindi – dicono i convertiti – anche napoletani.

La fonte di ispirazione che spinge alcuni giovani verso l’Islam non è diversa dalla quella che favorisce conversioni e impegno nelle altre religioni. “Vita mia chi sei. Dove vai a finire” canta il rapper Danilo Ali Maraffino, in arte ‘O tre . Questa è la domanda che si fanno molti giovani che hanno visto i loro amici morire per droga o morti in qualche conflitto di camorra in quartieri degradati e senza futuro. Ciro Capone, ci racconta una serata tipica, un sabato sera. Gli amici, la pizza, la discoteca, una ragazza per concludere la serata e poi l’indomani ad aspettare un altro sabato parlando di pallone e di femmine.

E questa è vita? A casa c’è poi la televisione, continua, che ci mostra sempre le stesse cose. Emilio Fede è diventato un profeta, quello che dice, è la verità. Oggi Ciro è un musulmano che ha fatto l’hajj – il pellegrinaggio – da Napoli alla Mecca. Lo racconta a tutti e spiega con l’ingenuità del neofita che lì in quella terra non c’è guerra perché è una terra santa. Lui vuole sposarsi purchè si tratti di una vera musulmana, non importa se araba o napoletana deve essere musulmana, per questo vuole andare in Siria per sposarsi e per imparare l’arabo.

E l’Isis? In questa ricognizione del successo dell’Islam a Napoli sembra dominare il carattere spirituale su quello guerriero. Le immagini di sgozzamenti che la televisione trasmette non sembra toccarli più di tanto. Qualche considerazione sul fatto che se quelli del califfato eseguono quelle condanne a morte, qualche ragione devono averla. Non credo sia una posizione questa che in un qualche modo vuole giustificare i crimini.

L’impressione che se ne ricava è che le azioni attribuite al califfato sono cose loro, qui a Napoli abbiamo i nostri problemi. “Ci vuole Dio ci vuole Allah, ma non basta la fede per cambiare le cose” – dice Danilo Alì Maraffino ‘O Tre – bisogna rimboccarsi le maniche per non parlare soltanto.

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