Un tempo era la strada dei pellegrini che dal nord Europa partivano per la Santa Sede e ora potrebbe trasformarsi in un trampolino di lancio per il turismo in Italia, se solo lo Stato decidesse di investire seriamente nel progetto. La Via Francigena, il percorso che nel Medioevo univa Canterbury a Roma, avrebbe potenzialmente tutte le carte in regola per trainare la rinascita di borghi e periferie italiane su cui si snoda l’itinerario che collega il Gran San Bernardo alla capitale e per diventare, in futuro, come il Cammino di Santiago di Compostela, che ogni anno registra oltre 200mila pellegrini da tutto il mondo. Ma la strada che porta a Roma non è ancora così battuta, nonostante la città sia insieme, a Santiago di Compostela e a Gerusalemme uno dei tre luoghi santi della cristianità, crocevia principale di tutte le antiche vie dei fedeli, e la Via Francigena sia stata riconosciuta già dal 1994 itinerario culturale del Consiglio d’Europa.

A tracciare la prima rotta dello storico itinerario fu l’arcivescovo di Canterbury Sigerico, che nel 990 si recò a Roma in visita a papa Giovanni XV e nel suo viaggio di ritorno annotò su un diario tutte le tappe in un documento oggi conservato alla British Library. Ora quel percorso di quasi mille chilometri, arricchito e ricostruito attraverso altri resoconti dell’epoca, è stato riscoperto nelle sue originarie 79 tappe, che oggi costituiscono il cammino per Roma. Sono sette le regioni italiane attraversate: si parte dal Gran San Bernardo in Valle d’Aosta, passando per Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. A questo tratto si è aggiunta di recente la via Francigena del Sud, che da Roma arriva fino a Brindisi, porta per l’imbarco in Terra Santa. Chi si mette in cammino può ricevere la credenziale che attesta lo status di “pellegrino” e infine il Testimonium, se percorre consecutivamente gli ultimi 140 chilometri fino a Roma.

Nel 2014 sono state circa 25mila le persone che si sono messe in marcia per affrontare almeno un tratto della Via, di cui la metà italiane. “I numeri che si registrano ora sono paragonabili a quelli degli inizi del Cammino spagnolo, più di un ventennio fa, e questo fa ben sperare. Negli anni stanno aumentando le visualizzazioni al sito internet e le richieste di informazioni, c’è sempre più interesse verso l’itinerario”, spiega a ilfattoquotidiano.it Luca Bruschi, della direzione progetti dell’Associazione Europea delle Vie Francigene (Aevf). L’istituzione, nata nel 2001 a Fidenza, nel parmense, riunisce oltre cento comuni in Italia e negli stati europei in cui passa il percorso, con l’obiettivo di fare rete e di sensibilizzare gli enti sulla valorizzazione della Via. Dopo il flop del Giubileo del 2000, che richiamò soltanto 2mila pellegrini, si guarda come obiettivo per la rivalsa al nuovo Giubileo della misericordia indetto da Papa Francesco per il prossimo anno.

“Ma in ogni caso non siamo ancora pronti ad accogliere i grandi numeri di Santiago”, sottolinea Bruschi. Se la Spagna infatti ha saputo puntare sul pellegrinaggio e sull’ecoturismo come motore per l’economia, l’Italia sta cercando di tenere il passo, ma è solo da una decina di anni che è cominciato un lavoro capillare grazie all’impegno dei Comuni e delle Regioni, che hanno investito sui singoli tratti. Insomma, la strada è ancora in salita, e i tagli agli enti locali non aiutano. “Con la crisi ci sono state ricadute sui territori ed è sempre più difficile trovare risorse, ma promuovere la Francigena significherebbe avere effetti positivi anche sulla microeconomia di zone che altrimenti verrebbero abbandonate – continua Bruschi – Investire sulla Via Francigena dovrebbe diventare una politica nazionale”.

Nel tempo sono state sistemate con progetti mirati le infrastrutture e la segnaletica, sono stati aperti ostelli e bed & breakfast, servizi di trasporto bagagli, sono state redatte guide, organizzati punti informazioni e servizi, anche grazie all’innovazione di start up. Poi ci sono i viaggi organizzati, le iniziative per promuovere i prodotti Dop e Igp delle zone attraversate dalla Via, i progetti di documentari e libri e perfino un programma radio dedicato. Ma sono ancora tante le cose da migliorare, soprattutto in alcuni tratti, e per farlo importante sarebbe l’intervento unitario dello Stato.

“Ci sono regioni che hanno puntato molto sulla Francigena, come la Toscana – spiega Bruschi – ma in altre zone si deve lavorare ancora”. In alcune, soprattutto in prossimità dei guadi o di passaggi particolarmente impervi, la sicurezza andrebbe migliorata, così come nel tratto finale dell’arrivo a Roma, dove il percorso attraversa la periferia della metropoli, o anche nelle strutture di accoglienza, che in caso di una crescita del turismo e del numero di pellegrini ed escursionisti, sarebbero da incrementare. “Le infrastrutture ci sono, ma abbiamo calcolato che servirebbero circa 10 milioni di euro per migliorare la sicurezza delle tappe ancora a rischio. – conclude Bruschi – Per questo è necessario lavorare insieme, per poter creare delle sinergie in modo che i territori della Francigena entrino a far parte a tutti gli effetti delle politiche turistiche del Paese”.

Foto tratte dal sito www.viefrancigene.org/it

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