venezia

C’è una grande opera pubblica, incompiuta, che mi viene segnalata e che forse a qualcosa potrebbe davvero servire. Si tratta dell’idrovia Padova-mare, cioè di un canale navigabile che collegherebbe Padova con Venezia. I lavori dell’opera – progettata già negli anni cinquanta dello scorso secolo (ma i primi canali navigabili tra Padova e Venezia risalgono addirittura al Medioevo) – andarono avanti, pur a singhiozzo, fino al 1992, epoca in cui l’opera era già completa al 60%. Poi non se ne fece più nulla.

Solo oggi, grazie a comitati locali, associazioni ambientaliste e Comuni, la Regione Veneto – dopo uno studio di fattibilità risalente al settembre 2012 – ha affidato la “progettazione preliminare per il completamento dell’idrovia Padova-Venezia come canale navigabile di V classe (‘chiatte fluvio-marittime’, ndr)”. Si completerebbe solo l’idrovia. Non si realizzerebbe anche la strada a pedaggio che in un primo momento gli amministratori regionali avevano avuto la bella pensata di affiancarle e che renderebbe insufficiente la portata d’acqua necessaria per scolmare le acque trasportate dai fiumi Brenta e Bacchiglione oltre che precludere la navigazione delle chiatte di V classe.

Quali i vantaggi dell’opera, che Legambiente definisce “l’unica grande opera necessaria”?
In primis ovviamente la navigabilità, che toglierebbe traffico su gomma, collegando la zona industriale di Padova con l’Adriatico. Ma essa avrebbe altresì valenza di canale scolmatore, ossia di salvaguardia dalle ricorrenti alluvioni, determinate purtroppo dall’insensatezza di consumo del territorio che caratterizza il Veneto, seconda regione più cementificata d’Italia, dopo la Lombardia. Si pensi che la sola alluvione del 2010 arrecò danni per oltre 500 milioni di euro. Il completamento dell’idrovia avrebbe un costo oggi stimato in 600 milioni di euro.
Altro aspetto importante dell’opera sarebbe la funzione positiva di apporto di sedimenti alla laguna Veneta. Infine essa potrebbe servire quale riserva di acqua nei periodi siccitosi, sempre più frequenti.
Ma nelle intenzioni l’idrovia avrebbe anche un’ulteriore valenza: posto che permetterebbe di ripensare il territorio che attraversa, creando un corridoio ambientale con la costruzione di piste ciclabili e parchi lungo il suo corso, per ricomporre un territorio disseminato di cemento, zone industriali e rotonde che si sono rivelati, in moltissimi casi, inutili sprechi di suolo e che hanno aggravato la situazione idrogeologica dei territori.
Fin qui le opportunità, le positività. Tutto bene dunque? Non proprio. L’associazione temporanea di imprese (ATI) che si è aggiudicata la gara di progettazione vede presente la Technital di Verona, una delle principali società legate alle avventure non certo edificanti del Mose. In secondo luogo, siamo in Italia. L’idrovia finora, secondo molti, è stata in realtà una sorta di idrovora, che ha drenato un bel po’ di soldi pubblici. L’auspicio è che l’opera non diventi una piccola Salerno-Reggio Calabria e si decida in fretta, progetti alla mano, se vale la pena di completarla perché assolva il suoi molteplici compiti di opera utile al territorio oppure la si abbandoni per sempre.

Articolo Precedente

Dissesto idrogeologico, #italiastaisicura

next
Articolo Successivo

Trivelle e nomine: reggono alla luce del sole?

next