Duemila e duecento voti in più. Sono quelli che alle regionali in Campania avrebbero permesso a Stefano Caldoro di restare presidente della Regione se i cosentiniani non fossero passati con Vincenzo de Luca, portandogli in dote 34.337 preferenze. E’ il concetto matematico che il direttore de IlFattoQuotidiano.it Peter Gomez ha spiegato qualche sera fa in tv a In Onda su La7, provocando la reazione scomposta di De Luca che venerdì durante la direzione del Pd è arrivato a minacciare il giornalista definendolo “consumatore abusivo d’ossigeno” e “somaro”.

Per rendersi conto di chi abbia ragione, basta saper far di conto o al massimo avere sottomano una calcolatrice. Sul sito del Viminale si legge che De Luca è stato eletto presidente con 987.927 voti, mentre l’ex governatore si è fermato a 921.481. Se al nuovo presidente della Regione togliessimo le 34.337 preferenze spostate in suo favore da Campania in Rete – listone civico-politico ispirato dal senatore Vincenzo D’Anna, dall’ex parlamentare dei Responsabili Arturo Iannaccone e da altri pezzi di centrodestra vicini a Nicola Cosentino – De Luca scenderebbe a 953.590 voti. Se poi i voti di Campania in Rete li aggiungessimo a quelli della coalizione caldoriana cui i cosentiniani appartengono naturalmente, Caldoro salirebbe a quota 955.818, 2.228 voti in più dell’avversario. E sarebbe ancora oggi presidente della Regione. Con buona pace di De Luca, eletto proprio grazie ai voti di ex fascisti, ex segretari del Fronte Nazionale ed ex amici di Cosentino: in pratica lo zoccolo duro degli “impresentabili” che hanno messo in imbarazzo il Pd.

E’ vero, i voti di una lista o di un partito non si spostano automaticamente sul candidato presidente, ma la matematica non è un’opinione. C’è un altro particolare: “Campania in Rete” non si è alleata con il Pd, ma con De Luca. Lo disse chiaramente al Fatto Quotidiano il portavoce della lista, Alfonso Ascione: “Lo abbiamo scelto in tempi non sospetti, perché non è condizionabile”. Sin da prima delle primarie del Pd, quindi, e forse De Luca ha vinto anche quelle grazie a loro, altrimenti il candidato sarebbe stato l’ex bassoliniano Andrea Cozzolino. Iannaccone confermò con una frase lapidaria: “Noi non siamo saliti sul carro del vincitore, siamo tra quelli che lo hanno spinto”.

Tra i primi a salire su quel carro ci fu l’ex mastelliano Tommaso Barbato, ex senatore, ex dirigente degli acquedotti campani, sponsor di De Luca sin dai mesi precedenti alle primarie perché “entusiasta del modello Salerno”. Barbato si è candidato alle regionali in “Campania Libera”, la civica storica di De Luca, e ha fatto in tempo a portargli 4238 preferenze. Un mese dopo Barbato è stato arrestato per concorso esterno in associazione camorristica nell’ambito dell’inchiesta sulla spartizione degli appalti della rete idrica campana a ditte di riferimento del clan dei Casalesi. In caso di arrivo al fotofinish, a De Luca avrebbero fatto molto comodo anche i suoi voti.

“Le liste di De Luca non sono affatto liste con nomi nuovi e in nessun caso trasformano il modo di fare politica in Campania – attaccava ai primi di maggio Roberto Saviano in un’intervista all’Huffington Post – direi che ricalcano le solite vecchie logiche di clientele. E non c’è niente da fare. E’ sempre stato questo e questo sarà: le liste si fanno su chi è in grado di portare pacchetti di voti”. E cosentiniani a De Luca ne hanno portati parecchi.

Il neogovernatore ha vinto con il 41,15%, un punto in più della coalizione. Caldoro si è fermato al 38,38%, un punto e mezzo in meno delle liste di centrodestra. Decisivo, oltre al passaggio in extremis da una parte all’altra dell’Udc di Ciriaco De Mita, proprio l’1,5% di “Campania in Rete”. L’ex sindaco sa bene che i loro voti sono stati più importanti di quelli degli alleati ‘naturali’. E infatti ha premiato l’unico consigliere eletto in “Campania in Rete”, Alfonso Piscitelli, con la presidenza della commissione consiliare Affari Costituzionali. Mentre Idv, Verdi e le altre forze minori del centrosinistra sono rimaste a bocca asciutta.

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