Ha finalmente visto la luce la dichiarazione dei diritti di Internet, iniziativa promossa dalla presidente della Camera Laura Boldrini e da Stefano Rodotà. Una bella serie di principi enunciati in 14 articoli. Si tratta senza dubbio di un bel risultato, ottenuto con la collaborazione di molte persone che hanno contribuito alla definizione dei diritti fondamentali legati all’uso della rete.

Ora si tratta di passare dalla teoria alla pratica, con la discussione alla Camera. Prima di approvare con entusiasmo il testo, però, sarebbe bene che i parlamentari facessero un rapido test di fattibilità. Perché in questo paese, troppo spesso, le buone intenzioni del Parlamento vengono annacquate (disciolte, stravolte, frustrate e più spesso avvelenate) dall’azione del governo. Per fortuna, il nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi è un grande fan di Internet – pare che il 2 per cento del traffico su Twitter sia generato da lui – e siamo sicuri che farà tutto il necessario per adeguare l’azione di governo al Bill of Rights. Vediamo un po’ quali sono i punti caldi e come si potrebbe aprire la via a una vera applicazione della carta eliminando i possibili inciampi di natura governativa.

Art.1: Riconoscimento e garanzia dei diritti.

L’articolo in realtà tratta questione molto generiche, legate al rispetto dei diritti universali dell’uomo. Siccome le riforme costituzionali proposte da Renzi non sono ancora concluse, su questo non abbiamo ancora problemi. Aspettiamo qualche mese e poi ne riparliamo.

Art.2: Diritto di accesso.

Qui si capisce subito una cosa: se l’accesso alla rete è “diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale”, subordinarlo agli interessi finanziari di un operatore (per esempio Telecom) è una violazione del Bill fo Rights. Renzi la pianti di fare le leggi a misura di Piazza Affari e cominci a considerare i diritti dei cittadini prima di quelli del mercato. Dopo possiamo parlare di diritti.

Art.3: Diritto alla conoscenza e all’educazione in rete.

Con la Buona Scuola probabilmente nessun cittadino potrà imparare qualcosa che vada oltre all’Abc per lavorare in un call center, figuriamoci a usare Internet. Riforma da riformare.

Art.4: Neutralità della rete.

Qui il concetto, in pratica, è che chiunque deve avere accesso allo stesso trattamento nella veicolazione dei contenuti. Insomma: chi è più forte e ha più potere non deve avere un vantaggio rispetto a chi è più debole e ha meno potere. La palla, a questo punto, la lascerei direttamente alla minoranza Pd per una trattazione più approfondita.

Art.5: Tutela dei dati personali.

Se veramente pensiamo che “Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza”, viene un po’ difficile capire perché il nostro governo, come spiegato da Edward Snowden, permetta agli Stati uniti di intercettare tutte le comunicazioni telefoniche e telematiche che partono dal nostro paese. Urge telefonata a Obama per chiarire la situazione. Magari su una linea protetta.

Art. 6: Diritto all’autodeterminazione informativa.

In pratica sapere chi conserva dati su di noi e per quanto tempo. Nella sfera pubblica non c’è problema: con la riforma del diritto penale i giudici potranno conservarli per non più di 90 giorni. I servizi segreti americani, invece, con le nuove norme volute da Obama potranno farlo solo (sigh) per 5 anni e le multinazionali a tempo indeterminato. È il mercato, baby.

Art.7: Diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici.

Ovviamente nessuno mette in dubbio un simile diritto, a meno che un dipendente di Hacking Team o i servizi segreti sudanesi non vogliano leggere il tuo profilo Facebook. In quel caso il diritto si scontra con il più alto livello di tutela della difesa dell’imprenditoria made in Italy e la riservatezza va a farsi friggere.

Art. 8: Trattamenti automatizzati.

Qui cito l’articolo integralmente: “Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato”. Non c’è problema: per farlo, avrebbero bisogno di usare dei computer. Visti i fondi destinati all’ammodernamento della giustizia e della pubblica amministrazione, non corriamo davvero nessun rischio.

Art.9: Diritto all’identità.

“Fassina chi?”

Art. 10: Protezione dell’anonimato.

Nessun problema. Visti i risultati dell’operazione trasparenza che avrebbe dovuto portare alla cancellazione del segreto di stato per chiarire i dietro le quinte di Piazza Fontana, Bologna e Ustica, possiamo considerare una certezza il fatto che, in Italia, l’anonimato sia tutelato a sufficienza.

Art. 11: Diritto all’oblio.

Vedi sopra

Art. 12: Diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme.

L’articolo fissa, in buona sostanza, dei paletti all’attività dei privati che operano in rete. Considerato che in Italia le leggi in merito sembrano scritte più dai Cda delle aziende che dal Parlamento, siamo al livello “letterina a Babbo Natale”. Se poi consideriamo che si usano termini quali “lealtà”, “correttezza”, “informazioni chiare e semplificate” siamo più che altro in piena fantascienza. Bello provarci, ma non speriamoci troppo.

Art. 13: Sicurezza in rete.

In Italia, molti uffici della pubblica amministrazione usano ancora Windows XP, cioè un sistema operativo per cui non c’è più supporto da oltre un anno. A livello mondiale, invece, buona parte dei governi (UK in testa) si oppone allo sviluppo della crittografia per non rendere più complicate le intercettazioni. Come parlare di corda in casa dell’impiccato.

Art. 14: Governo della rete.

La creazione di enti e organismi a livello nazionale e sovranazionale è un’esigenza sentita da tutti. Ma diciamoci la verità: alla fine, decidono Scheuble e Goldman Sachs.

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