Dati da brivido nelle anticipazioni del Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2015 targato Svimez. Napoli, Reggio Calabria, Palermo con performance peggiori di Atene. Una fotografia da “desertificazione industriale”, occupazione ferma agli anni 70, 1 famiglia su 3 nella soglia di povertà (al nord 1 su 10). Da grido d’allarme: andando avanti così la situazione rischia d’implodere diventando permanente. Non serve minimizzare o piangersi addosso. Tantomeno servono pratiche di quell’assistenzialismo che ha provocato solo malessere a sud. Meglio leggere l’esistente provando a creare condizioni d’una ripartenza. E considerare il Sud priorità nazionale.

Per lo Svimez dal 2000 al 2013 la crescita del Mezzogiorno è metà di quella della Grecia, complessivamente il dato più basso d’Europa. La situazione peggiora man mano che si scende verso i sud, che sono diversi, con diseguaglianze evidenti e la Calabria materialmente (non solo geograficamente) punta più estrema dello stivale, da primato povertà. Per il Fondo monetario internazionale bisognerà aspettare forse altri vent’anni anni per intravedere una ripresa, che significa tagliare fuori intere generazioni di giovani, di chi oggi ha se non 10, 20 o 30 anni. Perché sono soprattutto le giovani generazioni e le donne a sopportare il peso di questo gap, giacché tra i 15 e i 34 anni solo 1 su 5 è occupata.

Il tutto in un atavico isolamento: prendiamo la Calabria, una regione da potenziale industria turistica eppure con trasporti terzomondisti e il paradosso di costi proibitivi poco friendly cui è costretta l’utenza. Prezzi da capogiro che schizzano in alcuni periodi, un deterrente piuttosto che un invito a visitare quei luoghi: andare o venire in Europa da Napoli Capodichino non è la stessa cosa che farlo dall’aeroporto di Lamezia Terme, eppure sempre sud è ma non si capisce la ragione di queste disparità, a meno che non si tratti d’avvantaggiare il monopolio di certe compagnie di bandiera.

Una realtà a macchia di leopardo il Sud, con livelli occupazionali al minimo storico e un inedito calo delle nascite per un Mezzogiorno che s’avvia a diventare un luogo per vecchi. Vivere a sud è diventato un esercizio di resilienza. Del resto, pensando in termini di genitorialità consapevole, sono poche le ragioni per crescere qui un figlio quando altrove, in Italia o all’estero, ci sono migliori opportunità.

Consumi delle famiglie in discesa e servizi pubblici deficitari a partire da livelli minimi d’una assistenza sanitaria ridotta al lumicino, magari per ingrassare certa sanità privata convenzionata… Prendiamo ad esempio l’Ospedale di Cosenza, che è diventato un suk al punto tale da mettere a rischio finanche la salute di chi ci lavora. Un paradosso: negli ultimi mesi è aumentato il numero dei medici che hanno accusato patologie cardiache da stress, per il modo in cui sono costretti a lavorare, quasi fosse in un ospedale da campo. Che si traduce (quando va bene) in emigrazione sanitaria altrove, e conseguenti dispersioni economiche. Prendiamo, ad esempio, la Dda di Catanzaro, il terzo distretto del Mezzogiorno eppure in carenza d’organico: qui sono solo 6 i pm che si occupano di ‘ndrangheta!

Certo i governi locali hanno le loro responsabilità per le politiche dissennate di questi anni, ma la verità è che il Sud finora è stato marginale nell’agenda politica nazionale. Sono rari i politici capaci di far sentire a Roma, alta, la voce d’un Mezzogiorno che il governo considera zavorra, quasi che fosse un figlio affetto da qualche patologia del quale non ci si occupa. Manca uno sforzo di volontà, che in politica fa la differenza: trasformare il Sud da problema in risorsa. Un luogo pieno di ricchezze: dalle produzioni locali alle bellezze territoriali, poco sfruttate. Prendiamo la Calabria e le sue potenzialità turistiche: in Sila c’è l’aria migliore d’Europa ma nessuno (o quasi) ha investito finora su quest’enorme serbatoio che potrebbe produrre ricchezza ovvero lavoro. Prendiamo i sapori: la frutta o gli ortaggi che arrivano sui mercati internazionali molto spesso hanno qualità estetiche ma sembrano di gomma, senza quella sapidità che a sud si spreca. E l’elenco potrebbe continuare…

Lago-Sila-Calabria

Insomma il Sud dovrebbe diventare una priorità, del governo e dei meridionali stessi, che dovrebbero acquisire maggiore consapevolezza di sé. Ripartendo da tanti giacimenti scarsamente valorizzati. Converrebbe davvero a tutti. Diversamente sarà difficile uscirne.

Articolo Precedente

Zerocalcare, Antonio Cieri e Savino Paparella: cent’anni di gioventù

next
Articolo Successivo

Il Sud (del mondo) come modello della lentezza che ci salverà

next