Ci sono politici che quando si ritirano scompaiono dalla scena pubblica e si dedicano a scrivere le proprie memorie. Altri che, invece, si rifugiano nella vita privata e chiudono i ponti con il mondo. E poi c’è Yanis Varoufakis. L’ex ministro delle finanze greco che ha dominato le prime pagine per tutta la durata delle trattative con l’Eurogruppo, continua a far parlare di sè anche dopo le dimissioni. Questa volta a suscitare clamore è la lunga intervista pubblicata sull’ultimo numero in edicola del settimanale tedesco Der Stern, nella quale Varoufakis si racconta a tutto campo. L’esperienza da ministro, il governo Tsipras, la troika, il pesante accordo raggiunto con l’Europa, il futuro, le alternative. “Continuo a essere contrario. Nel governo ho sempre combattuto contro il cosiddetto pacchetto di aiuti. E’ un diktat. Con questo programma di aiuti la Grecia diventa, di fatto, un protettorato. Ma non parlerei di inganno perpetrato ai danni del popolo. Forse è qualcosa di peggio. Abbiamo ingannato noi stessi”.

Nessun pentimento per la discesa in politica o l’impegno nei sei mesi al fianco di Tsipras, comunque. “Sono sempre stato un “uomo politico”. Questo ha a che fare con la mia famiglia. Durante la guerra civile (tra partigiani comunisti e governo monarchico nell’immediato dopoguerra, ndr) mio padre fu internato per quattro anni in un campo di detenzione. Motivo: si era rifiutato di denunciare dei comunisti. Era un liberale, educato nello spirito della rivoluzione francese. Rousseau, Voltaire, questi erano i suoi idoli. Per lui, la libertà dello spirito è sempre stata importante”. Il padre di Varoufakis, “la persona più amichevole di questo mondo” venne “brutalmente torturato, ripetutamente”.

Una biografia, quella dell’ex ministro delle finanze greco, segnata dalla politica fin nelle più profonde radici. Un altro pezzo della sua famiglia, uno zio, venne condannato a morte durante la dittatura dei colonnelli greci negli anni Settanta. “Cose del genere ti politicizzano”. Ma la rivelazione più clamorosa arriva poche righe dopo. “Mia madre, in origine, odiava tutti quelli di sinistra, era membro di un’organizzazione terroristica di estrema destra. Uno dei suoi compiti era di spiare mio padre, presidente della lega studentesca di Atene. Così si sono conosciuti”.

Poi il rapporto con la Germania. Varoufakis è stato a lungo stigmatizzato nei media tedeschi, etichettato ora come infantile e incompetente, ora come nemico nazionale. Qualche mese fa, giornali e televisioni passarono settimane a interrogarsi se un video in cui Varoufakis, ben prima di divenire ministro, faceva mostra di alzare il dito medio parlando della Germania, fosse autentico oppure no. Era un fake. A ogni modo, nell’intervista allo Stern il personaggio appare sotto una luce nuova. “Mia madre parlava bene tedesco e quando io avevo tre anni, cominciai anch’io a studiarlo. Dal mio sesto anno di vita in poi, durante la dittatura, quasi ogni sera verso le otto, le nove, ascoltavo alla radio, segretamente, in casa, assieme ai miei genitori, le trasmissioni di Deutsche Welle. Era il nostro legame con la libertà. Così ho appreso di Willy Brandt. Ogni estate in quei tempi bui della dittatura andavamo in ferie in Germania o in Austria. Era una breve fuga dalla dittatura”.

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