Migranti stipati in una carrozza – secondo alcuni media locali riservata alle biciclette – che viaggia a porte chiuse. Le immagini sono state scattate all’interno del treno intercity che partiva nel pomeriggio del 23 luglio da Pecs, nel sud dell’Ungheria, alla volta di Budapest: al convoglio è stato aggiunto un vagone, pieno di migranti, donne e bambini, per lo più siriani e afghani. I ferrovieri hanno chiuso le porte e appeso un cartello al finestrino: “Questo vagone viaggia con le porte chiuse”. Una misura presa per evitare che i viaggiatori – immigrati appena registrati come clandestini e diretti verso i campi profughi – potessero scendere e far perdere la loro tracce.

Il provvedimento ha provocato shock e indignazione nel Paese di Viktor Orban, dove viene costruito proprio in questi giorni un muro anti-profughi lungo il confine con la Serbia. Alcuni media ungheresi, quelli che ancora riportano i fatti, sono insorti, criticando il governo: i vagoni blindati ricordano in maniera sinistra quelli del 1944 e la deportazione di mezzo milioni di ebrei ungheresi. Ma l’esecutivo guidato da Fidesz la pensa in un altro modo.

L’Ungheria è l’unico Paese Ue che non ha accolto nessun migrante, come avrebbe invece previsto l’accordo raggiunto recentemente a Bruxelles, e il vice-premier Janos Lazar di questo è fiero. “Questa gente doveva essere fermata e registrata già in Grecia, perché sono entrati in Ue da lì. A quel che mi risulta, nei Balcani non c’è attualmente alcuna guerra. Hanno pagato dei trafficanti, in Serbia, e vengono trasportati a bordo di autobus fino al confine ungherese. Costruiamo una barriera proprio per farla finita con tutto questo”, ha detto alla stampa.

Nuovi campi con grandi tendoni saranno costruiti, a breve, proprio vicino al confine. E il passaggio illegale in Ungheria sarà qualificato come reato invece che come semplice contravvenzione, come accadeva fino ad oggi. Secondo gli esperti di diritto, però, tutto questo avviene invano: l’Ungheria non potrà bypassare infatti convenzioni e regole internazionali. “È una battaglia persa già in partenza”, avverte il giornale Nepszabadsag, che ha dato notizia dei vagoni chiusi.

A soccorrere i migranti, sono soprattutto alcune associazioni. Alle stazioni di Pecs e Szeged, le due città vicine al confine sud, ogni giorno, accanto alla folla dei migranti, i volontari di Migration Aid, un’organizzazione promossa dalla società civile, distribuiscono acqua, panini e carte geografiche; aiutano a medicare le ferite, e supportano le donne con i bambini al seguito.

Alcuni cittadini ungheresi offrono anche alloggio a chi riesce a scappare dai campi chiusi: luoghi che ospitano fino a 4500 persone, pur essendo idonei per la metà. I migranti in arrivo chiedono lo status di rifugiato, e una volta approdati in questi campi cercano di fuggire: la tensione è alta, i servizi scarsi, gli incidenti frequenti. Le autorità ungheresi tentano invece di trattenerceli, e li fanno viaggiare isolati dal resto dei passeggeri, proprio per evitare fughe. Per ora con scarso successo. Secondo gli ultimi dati, quest’anno sono entrati in Ungheria oltre 80mila clandestini, ma più di 75mila hanno proseguito il loro viaggio verso Austria, Germania, Gran Bretagna o altri paesi Ue.

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