Google ha eliminato il nome cinese dalle isole dell’Oceano Pacifico contese con le Filippine. Complici definizioni storiche imprecise, interessi geopolitici e abbondanza di risorse naturali, parti di quel mare sono rivendicate da Taiwan, Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei. Oltre alla Cina che lo rivendica nella sua interezza.

Nello specifico, qui siamo a 220 chilometri dall’isola principale delle Filippine, 650 chilometri a sud dal punto più meridionale della Repubblica popolare, ma la Cina controlla le isole che chiama Zhongsha dal 2012. Un’occupazione a cui le Filippine si oppongono con forza.

Il 14 luglio, Google ha deciso di chiamare questo “ricco territorio di pesca” con il suo nome internazionale: Scarborough Shoal. In precedenza, sulle sue mappe appariva come parte dell’arcipelago Zhongsha. Ma le Filippine, che hanno presentato il caso al tribunale dell’Aja, non erano affatto contente. Per oltre 13mila pescatori, infatti, quel pezzo di mare è questione di vita o di morte. Si tratta infatti dell’80 per cento della Zona economica esclusiva delle Filippine stabilita entro le 200 miglia dalla costa. Se la giurisdizione venisse ceduta alla Cina, ha sostenuto Manila di fronte al tribunale internazionale, le Filippine perderebbero l’80% del loro pesce. Una risorsa fondamentale per l’economia del paese.

Dal canto suo, la Cina obietta che l’Aja non ha la giurisdizione sul caso. Sono ormai un paio d’anni che i militari di Pechino sono impegnati in continui monitoraggi e studi sulla qualità dell’acqua nel Mar cinese meridionale e, per far fronte a quelle che definiscono navi peschereccio abusive, è da poco entrata in vigore una direttiva che prevede la chiusura dell’area alla pesca per due mesi e mezzo. Nell’area delle Zhongsha, la Cina sta cementificando isole, atolli e perfino secche. Gli analisti l’hanno già ribattezzata “la grande muraglia di sabbia”. Immagini satellitari diffuse dal Pentagono, mostrano come qui la presenza cinese sia quadruplicata in soli sei mesi. A gennaio si trattava di qualche avamposto di cemento su sette atolli, oggi le sue costruzioni si estendono su 800 ettari di barriera corallina.

Così Google ha preso posizione prima ancora che la disputa fosse sciolta nelle sede competenti. “Abbiamo aggiornato Google Maps per risolvere il problema”, si legge nel comunicato ufficiale. “Capiamo come i nomi geografici possano provocare forti emozioni. Per questo, siamo stati così veloci a lavorarci sopra, una volta che hanno portato il problema alla nostra attenzione”. Gli internauti che hanno portato la questione all’attenzione di Google sono riusciti a raccogliere circa duemila firme in una settimana con una petizione sul sito Change.org. Nel frattempo, i funzionari governativi hanno presentato la documentazione che, secondo loro, è necessaria perché il tribunale dell’Aja possa assumersi la giurisdizione sul caso.

Google Maps non è nuova a queste decisioni sulle zone di confine. Per ora, nella maggior parte dei casi, ha cercato di non schierarsi. Un esempio nell’area è quello dell’Arunachal Pradesh, uno stato all’estremo nord-est dell’India, anch’esso conteso con la Cina. Sulla versione indiana del sito, Google.co.in, la si vede rispettare i reali confini politici dell’area. Usando, invece, la l’edizione cinese, Google.cn, i confini rappresentati dalla linea continua nera cambiano e includono la regione Arunachal Pradesh nel territorio della Repubblica popolare.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

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