L’Australia, come si sa, è terra di immigrati, dove di certo le minoranze linguistiche sono assai più numerose della maggioranza discendente dei galeotti inglesi ivi deportati a partire dal diciottesimo secolo. E proprio in Australia esiste SBS, Special Broadcasting System, una televisione multilinguistica, fondata negli anni ’70, che si esprime in diverse lingue, da quelle europee al cinese mandarino e cantonese, passando per l’arabo e non sappiamo quanto altro ancora.

I soldi che la fanno funzionare provengono un po’ dallo Stato, un po’ dalla pubblicità e, da ultimo, anche da programmi a pagamento. Esiste da anni e pare che continui anche se oggi qualunque immigrato può ricevere, via satellite e in streaming, la tv del paese natio. Ma chi emigra non sempre lo fa in buoni rapporti col luogo e lo stato di provenienza e così nasce la richiesta di avere una tv che parli la tua lingua, ma non appartenga al mondo da cui sei dovuto scappare.

SBS, col 6%, è la sesta televisione più seguita in Australia. Insomma, con gli ascolti se la cava e ultimamente un suo programma si è conquistato qualche notorietà anche nel resto del mondo al punto che molte tv hanno acquistato il diritto di adottarne il format. Si tratta di Go back to were you come from! Ovvero “Ritorna da dove sei venuto!”; sì, proprio il grido che il popolo della felpa, altro che welcome, amerebbe intonare in coro già sulla spiaggia di Lampedusa. Di felpe è piena in particolare l’Australia, fra sbarchi, campi di detenzione e grida del Governo contro il rovesciarsi di mezzo mondo in quello sterminato continente. Siamo, come si dice, sul pezzo.

Il programma è, tecnicamente parlando, un reality dove i concorrenti devono cavarsela in situazioni difficili. Salvo che qui il gioco consiste nell’essere avventurosamente portati nel bel mezzo dei paesi e delle situazioni da cui provengono la maggior parte dei richiedenti asilo. E cioè in alcuni dei posti più pericolosi della Terra, tanto che nell’ultima serie i tre concorrenti si sono trovati in mezzo alle pallottole vere di una battaglia in un villaggio curdo conteso dal Daesh.

Qualcuno da noi ha immediatamente arricciato il naso per la perdita del “limite televisivo”, di rincorsa dell’auditel, etc etc. Commenti bigotti, ma che colgono un dato reale: la pressione delle cose tende ad assottigliare la distanza fra il mondo e la tv. Così non è solo la quotidianità del cucinare che dilaga in tv, ma comincia a fare capolino anche la ordinaria straordinarietà delle guerre e dei flussi di gente nel mondo. Insomma, il programma della piccola tv australiana potrebbe avere aperto una strada, dando, lo osserviamo di passaggio, un ulteriore, fatale colpo alla differenza fra intrattenimento e informazione. Giacché di certo, se mai tre concorrenti italiani, magari bellocci, venissero catapultati a cavarsela fra Bengasi e Damasco, gli spettatori assorbirebbero in una sera più geopolitica di quanta sarebbero in grado di capirne in una vita intera.

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