La gente che sempre meno sopporta le ondate d’afa sempre più forti la capisco benissimo, anche perché sono così anche io. Non sopporto l’afa, è inutile in questo caso il richiamo alla resilienza. La resilienza, ovvero capacità di adattamento ai cambi climatici non significa semplice capacità di sopportazione, ma capacità di organizzarsi per vivere bene anche i climi estremi. Ciò premesso il dibattito sui condizionatori si fa complicato. Complimenti a chi riesce a farne a meno,( dei condizionatori)  ma è diventato più difficile. Descrivo le mie personali vicende e contraddizioni non perchè siano importanti ma per alimentare il confronto.

Nella casa di Milano il condizionatore non c’è, mentre i ventilatori a piantana sono saliti a quattro. Il ventilatore consuma un quindicesimo del condizionatore. Ma certo rinfresca di meno.

Stavolta all’inizio dell’ondata mi ero quasi deciso a comprare un condizionatore “portatile” (e sopportarne il costo) quando mi sono accorto che persiste un particolare orribile. Anche il più piccolo e moderno dei condizionatori portatili ha bisogno di un tubo che espelle aria calda. Per come è fatta la casa probabilmente dovrebbe cacciar fuori aria calda sul ballatoio. Un conto è sapere che l’energia che utilizziamo per rinfrescarci viene ancora prodotta in modi che provocano il riscaldamento del pianeta; altro conto, molto più ravvicinato, è sputare aria calda fuori per averla dentro casa e contribuire alla cosiddetta isola di calore urbana per stare più freschi nel proprio appartamento. Non me la sono sentita. Un’amica mi ha prestato  un ventilatore – evaporizzatore – nebulizzatore: ha una vaschetta dell’acqua in cui si possono mettere borse di ghiaccio. Sì, è un po’ più fresco del ventilatore, ma la differenza mi sembra minima. Non riesce a far scendere la temperatura della stanza.

Ho provato anche la soluzione di trasferirmi in montagna, a costo di starci solo 24 ore. La consiglio comunque, trovo assurdo che le montagne non siano prese d’assalto durante l’ondata di afa! Ma indubbiamente, lavorando, vengo risospinto in città (tanto più che la banda Internet in montagna è tutt’altro che larga).

In compenso nella mia altra base, la microabitazione di Torino in cui sono inquilino, l’aria condizionata c’è, l’aveva messa il padrone di casa. Finora avevo cercato di non usarla, son un fanatico di ventilatori, ne ho di varie dimensioni. Eppure stavolta mi sono dolcemente arreso. Se sto proprio di fronte al condizionatore mi rinfresca subito, viceversa per rinfrescare tutto il resto della stanza ci mette più di un’ora.

In questi giorni la vita sembra un rovesciamento dell’inverno più gelido. Spostarsi da una casa condizionata a un treno condizionato a un metrò condizionato (si spera!) a un convegno condizionato. Solo brevi tratti di strada a piedi nel clima reale, che forse sarebbe il caso di fare con ombrellino e ventaglio.

La rete elettrica rischia ogni giorno di afa di andare in tilt per il sovra consumo. Prima di estendere i condizionatori, e prima che qualcuno inventi il condizionatore a basso consumo, bisognerebbe intanto utilizzarli meglio. Andiamo dove sono già accesi. Cool sharing, condivisione del fresco: “Venite pure a casa mia”.

Del resto la prima – e furbetta – pratica del cool sharing è quella commerciale. Come fanno quei grandi negozi che addirittura tengono le porte aperte (bisognerebbe proibirlo) per accalappiare clienti oppressi dall’afa. Andiamo in biblioteca, o nei bar chiusi. Sto solo improvvisando elementi di una riflessione più che mai necessaria.

Nel XXI secolo nelle nostre città il problema del caldo afoso estivo diventa più grave del freddo invernale, ma credo che non abbiamo ancora ragionato abbastanza su tutte le implicazioni di questa svolta.

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