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Sapete che voi italiani mi avete cambiata? Da anni vivo in Italia, da anni parlo la vostra lingua, respiro la vostra cultura e convivo coi vostri costumi.
E sono anni che temo le figuracce.
Ho quasi perso tutta la mia americanità e alla fine parlo per aforismi e luoghi comuni.
Ma voi vi sentite quando parlate ed esprimete un concetto o un’idea? Avete idea di quante parolacce vengono usate in situazioni che, se fossimo in America, ci spedirebbero fuori dall’ufficio a calci nel sedere?

Ho sempre sostenuto che l’Italia è il Paese più meraviglioso del mondo, più colto, più profondo. Non a caso c’è chi dice «Secondo le stime dell’Unesco, l’Italia possiede il 60-70% del patrimonio culturale mondiale».  E’ sempre la stessa storia insomma: al vero ricco non importa farsi vedere con borse e vestiti firmati, alla vera femmina non importa mostrarsi sexy a tutti i costi. Mi pare naturale, quindi, che chi è nato e ha vissuto da sempre in mezzo a tanta arte, bellezza e cultura, si impegni poco ad evidenziarla.

Eppure, sarebbe così facile essere ambassador quotidiani di questo Paese e di tutto ciò che meravigliosamente è, semplicemente adottando un atteggiamento “accountable”.

Essere accountable non vuol dire essere meno autentico, non è una panacea di valori. E’ un atteggiamento sempre più umano per approcciare diverse situazioni. Simile all’idea di ridurre ad un unico comandamento i 10 delle sacre tavole: “Ama il prossimo come te stesso”.

Quindi in nome dell’autenticità che tanto promuovo (e anche per darvi una prova concreta di come mi sono inserita bene in Italia) elenco le 5 regole per essere accountable, in stile… tipicamente italiano.

L’italiano, per inciso, ha un repertorio lessicale impagabile quando vuole sfogarsi; non i soliti triti e ritriti anglosassoni fuck o shit o i glamour merde o putain: tutto un poutpourri di espressioni fiorite, fantasiose, orripilanti e oscene con le quali si potrebbe andare avanti un’ora di fila, senza mai ripetersi!
Giorgio Bettinelli

Le 5 regole per essere accountable

1. Che ca**o vuoi da me?
Serve una nitida comprensione di ciò che ci si aspetta da te

Se non hai chiaro in testa il tuo ruolo, e quello dei collaboratori o dei colleghi o dei superiori coi quali sei in relazione, e se non sai esattamente cosa loro si aspettano da te e tu da loro, le prestazioni possono solo soffrire. Un check bisogna sempre farlo. Poche semplici domande alle quali rispondere con sincerità e attenta riflessione.

– Ho una chiara comprensione di ciò che XY si aspetta da me?
– Cosa mi aspetto da me stesso?
– Le persone intorno a me capiscono il mio ruolo?
– Capiscono il rapporto tra il mio ruolo e il loro?
– Gli altri hanno una chiara comprensione del loro ruolo e delle mie aspettative?

2. Chi ca**o sono?
Bisogna dedicare del tempo per scrivere un “mission statement”

Non so quanti articoli e mini-corsi ho fatto per imparare a scrivere la mia mission statement. Dovrei essere un’esperta ma la verità è che per scriverne una veramente perfetta bisogna fare continui check. In ogni caso, questo trend americano è un valido strumento per arrivare al nocciolo del “perché e come” ti presenti al mondo e nel tuo ambiente di lavoro.

La mission statement è una dichiarazione di intenti fatta a se stessi e a volte anche al proprio pubblico, per descrivere in poche frasi i propri valori fondamentali e la modalità e gli strumenti usati per rispettarli fino in fondo. Insomma la tua ‘missione’. Essere accountable è molto più facile se è chiaro il motivo per cui siamo qui, cosa vogliamo e, soprattutto, ciò che apprezziamo di noi e degli altri.

Qui riporto le 4 domande iniziali, suggerite anche da Forbes, per iniziare la costruzione della tua mission statement:

– Cosa faccio?
– Come lo faccio?
– Per chi lo faccio?
– Quale valore sto portando?

Se vi interessa, qui trovate l’articolo integrale.

3. Che ca**o è successo?
Gestire l’imprevisto e capire il problema

Ovvero: essere pronti con una risoluzione quando i problemi e gli imprevisti ci investono. Anche il progetto più attentamente pianificato può essere minacciato da un imprevisto.

Ed ecco che qui parte la mia ammirazione per come gli italiani hanno contribuito a formare molte delle mie esperienze e qualità. Grazie al vostro talento nel gestire gli imprevisti ho potuto far tesoro del vostro modo di reagire. In questo senso gli italiani sono più che avvantaggiati. Questo è anche il Paese del rimedio per eccellenza e dobbiamo andarne fieri. Lasciamo quindi agli americani la mania di pianificare anche gli imprevisti, valorizzando il talento del dna italiano. Per chi invece volesse americanizzarsi, ecco qualche dritta:

– identificare i potenziali problemi
– determinare la probabilità che si verifichino
– adottare misure preventive per evitarle (per esempio: essere accountablesin dalle prime fasi di un progetto)
– ridurre al minimo imprevisti e problemi già prevedibili (per esempio: non scegliere un collaboratore sull’onda di un sentimento o di un’emozione bensì per le sue qualità)

4. Saranno ca**i amari
Mettere in guardia e condividere le possibili “conseguenze” agli errori 

Esistono conseguenze negative e positive. Un team, per funzionare, necessita che tutti i coinvolti conoscano perfettamente le conseguenze relative ai propri e altrui errori. Viceversa, le conseguenze positive confermano che una determinata azione o modo di fare porta a buoni risultati e che ci si deve adoperare per far sì che diventi consuetudine.

5. Non fare i ca**i tuoi
Essere coinvolti e creare coinvolgimento

Essere curiosi, porre domande, coinvolgere le persone in una conversazione, saper ascoltare e sollecitare il feedback rappresenta il modo migliore per essere accountable e ispirare l’accountability. Quante volte avremmo messo la mano sul fuoco che Questo o Quello stavano pensando così o cosà? È un errore comune convincersi che le proprie percezioni siano verità. Ma proprio perché sono percezioni restano tali, e non verità.

Il che non significa annullare e reprimere le nostre percezioni. Tutt’altro. Significa non dar loro il comando della verità. Dovrebbero essere la giusta conseguenza di un corretto ascolto dell’altro che infine ci aiuta a porre domande corrette.

Chiedere, dopo aver messo da parte le proprie percezioni, serve spesso a manifestare il proprio coinvolgimento.

Infine, essere accountable dovrebbe diventare parte integrante del nostro essere ed essere figlio soprattutto di un sano buon senso e del miglior utilizzo del libero arbitrio. Una parolaccia ogni tanto può essere segno di autenticità anche perché , come dite voi, “quanno ce vò, ce vò”.

Però , se ‘ce vò usiamole correttamente e, per dirla alla romana, sostituiamo più spesso il “sticazzi” con il “me cojoni”. Così come mi l’avete spiegato:
– Sti cazzi = chi se ne frega / non mi riguarda
– Me cojoni = mi piace assai / complimenti!

Come dice Bettinelli, “L’italiano, per inciso, ha un repertorio lessicale impagabile…” ma… se lo devi dire, dillo bene. Sii accountable.

Italy, I love you.

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