Il governo Renzi tra le “riforme varate” si assegna il merito di aver eliminato le province, obiettivo strategico e vero e proprio “fiore all’occhiello” del governo del “fare” e non “gu-fare” come ama sentenziare l’irridente toscano.

In Emilia Romagna in questi giorni la Regione sta discutendo dell’importante legge “oggetto 751” di  riforma del sistema di governo regionale che dovrebbe realizzare la nuova configurazione, fondata sui due livelli istituzionali residui: la Regione e i Comuni. Si sa che gli emiliano-romagnoli amano essere “i primi della classe” e quindi si stanno dando da fare con la proverbiale solerzia ad approvare, perfino con inquietante celerità, un provvedimento che dovrebbe nelle intenzioni mettere ordine nella confusa situazione determinata dal venire meno di un importante tassello di gestione del territorio.

Nel frattempo il clima non è dei migliori. Le vilipese province infatti sono, meglio erano, enti molto importanti per una serie di funzioni di pianificazione e gestione operative in campi estremamente sensibili: scelte in materia di pianificazione territoriale (i grandi centri commerciali e produttivi, le infrastrutture ecc.), verifica e controllo dell’urbanistica dei comuni, valutazione dell’impatto ambientale, monitoraggio dell’assetto idrogeologico, manutenzione stradale, manutenzione patrimonio edilizio pubblico, in primis le scuole, prevenzione incendi, controllo della fauna, regolamentazione della caccia e della pesca ecc.

Funzioni ricoperte con personale generalmente di alta qualità professionale, proprio perché formato e impegnato “sul campo”. Che destinazione ed uso avranno queste persone ad elevata competenza ora che le provincie sono abolite, è oggetto di discussione e la decisione non sarà ininfluente per le scelte e che andranno a compiersi.

La filosofia con la quale la regione si appresta a legiferare sulla nuova architettura istituzionale, prefigura una concezione eufemisticamente liberal delle competenze in materia di indirizzi e controlli: basta riportare fedelmente alcune affermazioni svolte di recente, in un convegno sul tema del consumo di suolo, dall’assessore alla mobilità Raffaele Donini, pezzo “forte” della giunta: “la regione eserciterà una funzione ‘assorbente’ della pianificazione locale”, “i piani strutturali approvati (perfino i precedenti piani regolatori), tutto quel che è stato deliberato, dobbiamo considerarlo come il dentifricio uscito dal tubetto, impensabile rimetterlo dentro, stiamo parlando di 250 chilometri quadrati di nuove urbanizzazioni (edificazioni)”. Il progetto di legge sul riordino presentato dalla giunta conseguentemente risulta essere evasivo nella definizione del ruolo che la Regione Emilia Romagna vuole assumere rispetto alle competenze costituzionali assegnatele prima, e anche dopo, la riforma dal titolo V del 2001, con l’art. 117 sul “governo del territorio”.

Il consumo zero di suolo”, chimera sventolata in ogni campagna elettorale come “la legalità” la “sostenibilità ambientale” “la partecipazione” è un totem contraddetto dalle scelte concrete che discendono dalla negoziazione  diretta con il sistema delle imprese, per la quale ogni comune avrà ancor più campo libero di decidere senza alcun vincolo e controllo reale, come gestire un territorio già massacrato dall’espansione incontrollata degli ultimi vent’anni.

Si prepara un nuovo assalto in nome dell’autonomia che diventa nei fatti anarchia, quindi ben venga la destrutturazione di ogni funzione di pianificazione e soprattutto di controllo. Non a caso la prossima scadenza di revisione della legge 20/2000 di “disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio”, si presenta come il vero e proprio “assedio di Forte Apache” della famelica idrovora che consuma aree verdi per tramutarle in cemento.

L’Emilia Romagna è la regione che insieme al Veneto ha consumato più suolo negli ultimi vent’anni, i progetti infrastrutturali che il “partito del cemento” intende realizzare daranno una mazzata finale, ad un ambiente sempre più deteriorato, senza trascurare di considerare che l’infiltrazione mafiosa ormai acclarata dalle numerose indagini, disvelano una presenza massiccia di aziende controllate dalla criminalità organizzata, fortemente integrate nel sistema economico, in questo caso due più due fa molto più di quattro!

Occorre riflettere con molta attenzione che l’internalità del maggior partito con il sistema economico soprattutto in alcuni comparti come l’edilizia non sia più rappresentativo di una condivisibile vocazione allo sviluppo economico ma sia altresì diventato un intreccio d’inestricabili interessi privati a danno dell’interesse pubblico.

Le prossime elezioni comunali a Bologna che sono a tutti gli effetti elezioni per il Sindaco della città metropolitana, saranno cruciali per tutto quel che riguarda proprio l’assetto del territorio che comprende tutta la provincia, il più vasto della regione ed uno dei più estesi d’Italia, comprende zone collinari e montane ed il delicatissimo sistema di canalizzazione delle acque, potrebbe essere devastato da interventi come il famigerato passante Nord ed il People Mover, chilometri di asfalto, veri e propri “progetti mangia suolo”.

I conti alla fine tornano perfettamente: con lo “sblocca Italia” l’abolizione del senato elettivo, la nuova legge elettorale, l’abolizione di ogni forma di controllo effettivo del territorio, il futuro del nostro paese è nelle mani di ogni genere di comitato d’affari. E’ il caso di reagire adeguatamente, preparando una seria alternativa.

Articolo Precedente

Cocoricò, sedicenne muore in discoteca a Riccione: “Aveva assunto ecstasy”

next
Articolo Successivo

Libia, Farnesina: “Quattro italiani rapiti a Mellitah, sono dipendenti di Bonatti”

next