È l’altra faccia dello scandalo Cpl Concordia, e va raccontata perché è un caso campione. A Napoli e Modena i magistrati indagano sulle dubbie tecniche di acquisizione degli appalti del gruppo dirigente che faceva capo all’ex presidente della cooperativa Roberto Casari: tra le ipotesi, corruzione a largo raggio e accordi inconfessabili con clan camorristici. Ma dall’altra parte si è formata un’inedita squadra, per così dire pubblico-privata, per salvare l’azienda. Al vertice, coordinatore di fatto e motore immobile, l’onnipresente Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anti-corruzione. Un gradino sotto Cantone c’è il prefetto di Modena, Michele Di Bari, che ha nominato due commissari di caratura come Marco Filippi e Massimo Varazzani. Poi c’è il nuovo presidente della Cpl, Mauro Gori. E dietro di lui il presidente di Legacoop Mauro Lusetti che lo ha scelto.

È una storia tipica, in cui l’incidente giudiziario illumina la natura autentica del potere autocratico instaurato da alcuni manager cooperativi quando la fine del Pci li ha lasciati padroni incontrastati delle aziende che il “movimento” gli aveva affidato. Un miscuglio di sagacia gestionale e deliri napoleonici, lungimiranza e ottusa vanità. Casari è l’uomo che ha fatto raddoppiare il fatturato proprio negli anni della grande crisi, ma è anche l’uomo che nel 2009 raccoglie il grido di dolore del sindaco per il salvataggio del Modena calcio: “Noi siamo una cooperativa e abbiamo sentito una responsabilità sociale”, disse. Il suo braccio destro Maurizio Rinaldi, arrestato con lui il 30 marzo scorso, spiegò sul notiziario della coop che la decisione di spendere milioni di euro per salvare la presenza cittadina nel campionato di serie B l’avevano incoraggiata “l’interesse di Cpl al rapporto con il comune di Modena e con le diverse istituzioni locali” e “l’importanza commerciale dell’operazione e dell’impegno del presidente e del direttore commerciale a sfruttare questa opportunità con i giusti ritorni”.

Naturalmente nessuno chiese mai a Casari di che natura fossero questi “giusti ritorni”. Ci sarebbe da chiedere ai 1800 dipendenti, ai 2500 lavoratori dell’indotto, ai politici modenesi e alla stessa Legacoop perché tanti anni di silenzio di fronte alle stranezze di Casari. Ma in ogni caso non c’è ragione di uccidere per questo la Cpl. Ed è scattato il piano di salvataggio, che non è economico ma giuridico. L’azienda infatti è sostanzialmente sana. Ma il 24 aprile scorso il prefetto ha fatto scattare la cosiddetta “interdittiva antimafia”, cioè l’esclusione della white list degli appalti pubblici. Un disastro. In barba alla retorica dell’azienda supercompetitiva sul mercato degli impianti energetici, tre quarti degli oltre 400 milioni di fatturato vengono dagli enti pubblici. Questi sono autorizzati (e quasi sollecitati) dall’interdittiva antimafia a rescindere i contratti. In venti giorni Cpl ha ricevuto un centinaio di raccomandate, e sono sfumati all’istante 150 milioni di lavoro, oltre un terzo del fatturato. A quel ritmo l’azienda non avrebbe superato l’estate.

Così è partita l’operazione “purificazione”. Fuori tutto il consiglio d’amministrazione per nominarne uno nuovo di zecca. Lusetti, interessato alle sorti di Cpl perché è modenese e per dimostrare che il cancro etico è curabile, ha spedito a fare il presidente Mauro Gori, fino a quel giorno dirigente Legacoop. Gori si è presentato subito ai soci con una diagnosi impietosa, parlando di 500 esuberi, il 30 per cento dei dipendenti. Ma il problema più serio restava quello della white list. E il prefetto Di Bari ha deciso di utilizzare, per la prima volta in modo così energico, la legge 114, varata la scorsa estate per fronteggiare l’emergenza Expo: consente di commissariare non l’impresa coinvolta in inchieste sul malaffare ma i singoli contratti, cosicché la vita aziendale possa continuare senza eccessivi scossoni. Sono stati commissariati 1200 contratti, circa 800 milioni di lavoro per i prossimi anni.
Il commissariamento elimina il diritto-dovere dell’ente pubblico di sciogliere il contratto con l’azienda colpita dall’interdittiva antimafia. La settimana scorsa gli avvocati della Cpl hanno ottenuto una preziosa sentenza dal Tar di Bologna che ha sospeso in via cautelare l’atto di recesso di Hera, la municipalizzata per l’energia di Bologna. La sentenza indica una strada, visto che si sta svolgendo il primo vero esperimento con la nuova legge: i recessi comunicati a Cpl nei giorni tra il 24 aprile (interdittiva antimafia) e 21 maggio (nomina dei commissari) potrebbero essere addirittura annullati.

Evitato il fallimento istantaneo, resta il futuro. Lunedì prossimo l’assemblea dei soci Cpl è chiamata a votare l’azione di responsabilità contro Casari e compagni. È uno dei passi di redenzione necessari per rientrare nella white list. Ci vorranno comunque mesi, durante i quali Cpl non potrà partecipare alle gare e non acquisirà lavori, mentre sta perdendo molti contratti conquistati alla vigilia degli arresti. Il 2015 si chiuderà nella migliore delle ipotesi con il calo di un terzo del fatturato e un po’ di rosso. Gli esuberi ci sono (c’erano di fatto anche prima, ma la fantasia commerciale di Casari li occultava) e arriverà una dose di cassa integrazione. Ma competendo onestamente la cooperativa potrebbe sopravvivere allo scandalo.
In America c’è la pena di morte anche per le aziende, come insegnano i casi Enron o Lehman Brothers. Ma in Italia non è mai stata applicata, neppure alla Parmalat di Calisto Tanzi.

da Il Fatto Quotidiano del 15 Luglio 2015

@giorgiomeletti 

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