Dal momento che abbiamo contrastato la legge Gasparri, non possiamo cambiare opinione di fronte alla non riforma della Rai presentata dal governo Renzi. Non a caso l’ex ministro berlusconiano ha legittimamente potuto affermare che, 46 dei 47 articoli della legge che porta la sua firma, e fortemente voluta da Berlusconi, non sono stati neppure sfiorati dalla nuova proposta, ora in discussione al Senato. “Entro il mese di giugno… risolveremo il conflitto di interessi“, avevano tuonato i ministri, quando Berlusconi sembrava voler fare le bizze su legge elettorale e riforme della Costituzione, ma non appena l’ex Cavaliere è tornato a cuccia, il tema è sparito dall’agenda.

“Restituiremo la Rai ai cittadini… La Rai non può essere governata con una legge che porta il nome di Gasparri… Governo e partiti non debbono interferire…”, sono parole di Renzi, peraltro tutte condivisibili, peccato che non abbiano rapporto alcuno con la legge che rischia di essere approvata, peraltro in un clima di assoluta e complice distrazione, salvo le iniziative annunciate in queste ore da Fnsi, Usigrai, Move On. Governo e partiti continueranno a nominare il Consiglio di amministrazione e l’amministratore delegato; costui, peraltro, dovrà comunque chiedere il permesso al Consiglio e magari alla commissione di vigilanza che non sarà neppure riformata.

Come se non bastasse non è stato neppure definito il mandato editoriale ed industriale che sarà affidato all’amministratore delegato e al gruppo dirigente. Dovranno potenziare o ridurre il ruolo del servizio pubblico? Le reti e le testate saranno unificate e sottoposte al controllo di un vigilante unico, magari deciso dal governo di turno? I signori degli appalti faranno un passo indietro? La Rai dovrà illuminare le ‘periferie del mondo’ o limitarsi a pascolare nei cortili della politica nazionale? Che spazio sarà riservato alla innovazione tecnologica e alle alleanze internazionali? Quali risorse saranno assegnate e con quale metodo? Se davvero si dovesse scegliere la strada di un canone contrattato annualmente con gli esecutivi in carica, questo sarebbe il modo migliore per tenere a guinzaglio tutto e tutti, con tanti saluti alle chiacchiere sulla autonomia industriale e finanziaria, precondizione per l’autonomia editoriale e produttiva.

I primi emendamenti approvati al Senato hanno persino peggiorato il testo, delineando un modello autoritario consociativo che produrrà profondi guasti e contrasti quotidiani tra l’amministratore delegato e i consiglieri controllori. Meglio sarebbe stato percorrere la strada, che pure ispirava le proposte di tutti i partiti, destra berlusconiana esclusa, del doppio livello, e della distinzione netta tra funzioni di gestione e compiti di indirizzo. Lo stesso sottosegretario Giacomelli, con il suo gruppo di lavoro, aveva positivamente scelto questa ipotesi. Dal momento che la proposta non è ancora legge, sarà il caso di ripercorrere quella strada, magari concordando gli emendamenti tra quanti non intendono rassegnarsi ad alzare bandiera bianca, questo a prescindere da ogni logica di schieramento. Peraltro chi oggi pensa di essere il più furbo, potrebbe presto scoprire che questa legge regala alla maggioranza di turno un controllo ancora più incisivo e stringente, oltre i limiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale. Per quanto ci riguarda come Articolo 21, proveremo a contrastare questa “Non riforma della Rai”. Non ci piaceva la legge Gasparri, non c’è motivo alcuno per farci piacere una Gasparri bis.

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