Al tempo dei generali (che spesso comandavano più dei re) e delle guerre combattute al fronte (non in mezzo alla gente come ci siamo “evoluti” a fare oggi) quello che è successo mercoledì scorso al Parlamento greco si sarebbe chiamato “ritirata strategica”, o tuttalpiù “riposizionamento prudenziale”, ma oggi che (nei paesi “evoluti”) le guerre si fanno in modo del tutto diverso ed incruento (cioè nei notiziari Tv e nei media asserviti ai poteri forti) ottenendo di più, quello che è successo domenica può essere spiegato veramente solo leggendo le roventi dichiarazioni della presidente del Parlamento greco Konstantopolou, che ha gridato senza mezzi termini al colpo di Stato.

Colpo di Stato è una parola forte, ma è quella che spiega l’accaduto meglio di ogni altra.

Alexis Tsipras ha fatto una campagna politica di completa rottura contro quell’austerity che ha ridotto l’economia della Grecia ad uno straccio, poi ha persino indetto un referendum popolare per decidere con il conforto popolare sul da farsi. La disputa era molto seria: se cedevano i creditori dovevano cancellare ai debitori una buona parte del debito, se cedevano i debitori, i greci avrebbero dovuto inchinarsi ad una sostanziale perdita della propria sovranità.

Adesso sappiamo chi ha vinto. Ma la sorpresa assoluta è stata l’inversione ad U del primo ministro Tsipras che, nonostante un risultato schiacciante dei NO nel referendum, e nonostante la sua lunga campagna politica di contrarietà a nuove misure di austerity, all’ultimo minuto si inchina alle richieste della Troika e chiede al Parlamento di votare a favore di tutte le richieste dei creditori. Una resa senza condizioni insomma, ma in gioco non c’era solo il debito greco, dietro le quinte c’era tutta la plutocrazia partitocratica globalizzata e Tsipras non ha esitato a gettare la spugna, sottomettendo tutto il popolo greco alla più umiliante delle sconfitte politiche ed economiche dal tempo dei romani.

Il suo stesso partito si spezza, ma chi se ne frega, quelli dell’opposizione, non fosse altro che per pure ragioni politiche, gli danno subito man forte e insieme vincono alla grande.

Per gli italiani è un film già visto, con Renzi che sale alla guida del Partito democratico grazie ad un programma di “sinistra” ma che poi, salito al potere, governa e attua riforme di destra che nemmeno i governi di centro-destra erano mai riusciti a far passare in tutto il dopo-guerra. E’ una storia questa che ormai, dalla caduta dell’Unione Sovietica in poi, si ripete un po’ troppo spesso per passare ancora inosservata. Da allora questi “scherzetti” compiuti nel ventre delle democrazie mature si ripetono con infallibile costanza e a vincere sono sempre gli stessi: gli alfieri del liberismo capitalista (anche se talvolta sono truccati da socialisti).

Facile prevedere su questa denuncia l’accusa di “dietrologia”, ma qui non c’è alcun racconto su fantasiose “Spectre” a sostenere questa accusa, c’e solo il dato di fatto di un sistema (quello capitalista) che non ha alcun bisogno di organizzarsi sotto un regime autoritario per fare quello che più gli conviene, anzi, ha proprio bisogno del contrario, ha solo bisogno della massima libertà per fare ciò che vuole senza remore e senza limiti, grazie al potere del denaro. Infatti è proprio quello che chiedono con insistenza, da Reagan in poi, i supercapitalisti globalizzati, riuscendoci benissimo.

Eppure dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la Grecia, anche con i nuovi mutui che ora le verranno accordati, non ce la farà mai, senza una ristrutturazione del debito, e senza un cambio di passo dell’Europa, ad uscire dalla fossa in cui l’euro l’ha cacciata. Non sono (solo) io a dirlo, lo dicono persino Lew (segretario al Tesoro Usa) e Draghi (presidente Bce).

Ma ciò che ha provocato il disastro della Grecia (e di buona parte del resto d’Europa) lo dicono solo pochi bravi economisti lontani dalle stanze del potere. L’accusa sui greci è che sono entrati nell’euro di “straforo” (barando) e con un debito troppo alto. Un po’ è vero, però il debito è “scoppiato” solo dopo le politiche di austerity che le sono state imposte. Vediamo ora cosa è successo alla Grecia a causa dell’euro.

Dal 2007 (anno di inizio della crisi Usa) fino al 2014 il dollaro si è svalutato contro l’euro fino al 50%. Per una economia come quella greca, molto dipendente dal turismo, è stata una botta mortale. Fosse stata legata al dollaro invece che all’euro, avrebbe avuto problemi minimi. Invece l’impossibilità di svalutare la propria moneta e le rigidità impostale dall’euro, hanno “costretto” i governi greci a far debiti per limitare i tagli. L’aumento dei debiti ha provocato il declassamento delle agenzie di rating, che ha alzato il costo del debito (per la gioia degli speculatori, che poi hanno rifilato quel debito alla Troika). La crisi ha fatto esplodere la disoccupazione, con conseguente drastica riduzione delle entrate fiscali. Ecc. ecc.

Si è insomma instaurata in Grecia una spirale depressiva peggiore di quella iniziata nel 1929 negli Usa. La colpa dunque, più che della Grecia, è dell’euro e dei vertici europei che hanno sbagliato (?!) tutto proprio nelle fasi più importanti della crisi. Perché l’euro ha aspettato 5 anni per riallinearsi sul dollaro? Perché l’Europa ha imposto sciagurate politiche di austerity a danno soprattutto delle economie più deboli proprio nel momento più sbagliato per farlo? Perché è stato addirittura messo un tetto al debito quando era (ed e!) necessario incrementare al massimo le politiche di investimento per ridurre gli effetti della crisi? Perche gli Usa hanno avviato gli aiuti del Quantitative Easing un anno dopo la recessione mentre l’Europa ha aspettato tre anni per farlo?

Io ho già risposto a queste domande, e ciò spiegherebbe anche il perché i greci sono rimasti stritolati in un gioco di potere e di interessi enormemente più grande di tutta la Grecia.

Dallas, Texas

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