Soleminis – “Una volta un amico mi ha detto -prova a contare la vita in giorni invece che in anni, vedrai come cambia la prospettiva -. Aveva ragione, tutto si accorcia e si rimpicciolisce. Il giorno è una dimensione minima e quasi misurabile in respiri”. (Gianmaria Testa)

Dalla depandance arrivano le voci dei ‘Pinocchi‘ che cozzano nell’aria calda, che corrono tra le balle di paglia usate come panche bucoliche, mentre dalla cantina la voce rock di Oscar De Summa fa vibrare le bottiglie di birra messe al fresco, al riparo dalla campagna che abbrustolisce rami e sterpi, le curve della strada sterrata, il gregge di pecore che si incrocia salendo, e dalla cucina salgono aromi di soffritti e padelle, lo sbattere del frigo rosso Smeg con la pancia grossa in avanti tipo bierbauch teutonica, i piatti sbattono. È una miscela di famiglia e teatro, di casa e narrazione, di arte e pacche sulle spalle, di passaggi nei corridoi, tutti indaffarati a seguire la loro Storia che s’intreccia, come sedia impagliata d’affabulatore, ai percorsi degli altri. Condivisione. Tutti insieme appassionatamente.

Aurora Aru, dopo diciassette anni nelle strutture minerarie di Montevecchio, luogo mistico ai confini tra macchia mediterranea e cervi che mugulano notturni e le dune di Piscinas con le sue correnti che tirano forte sul fondo e le onde che sembra di stare a Cascais, da tre anni ha spostato il suo festival a Soleminis dove, per due settimane, chiama a raccolta gli attori che più le piacciono sul piano emotivo, personale e artistico. Qui la persona viene prima del personaggio, la vicinanza umana prima del valore sul palco. Che poi alla fine questi due aspetti si sommano, si esaltano, si stringono come i vortici del dna.

Una Sardegna viva e pulsante ultimamente con i Cada Die e il loro “Festival dei Tacchi” in Ogliastra, con la barca teatrale di Francesco Origo, tra Cagliari e la Norvegia, con Massimo Mancini nuovo direttore del Teatro Massimo del capoluogo, con il progetto europeo triennale ‘Odyssey’ tra Mar Baltico, Mediterraneo ed Egeo.

Erano anni che, passando da un teatro all’altro, da una rassegna all’altra in tutta Italia, da un festival all’altro dello Stivale, sentivo parlare dell’alchimia, dell’atmosfera e, perché no, del sentimento che pervade, come cappa positiva che avvolge, questo luogo immerso nella campagna dove un nugolo di persone, uno sciame di artisti, una mandria di uomini e donne, stanno, vivono, leggono, riflettono in comunione dei beni, in una sorta di residenza artistica fervida e propositiva, creativa dove le idee ribollono.

BONOMOSi è creata una comunità che esplode nei giorni della rassegna. Francesco Bonomo, attore romano apprezzato sui grandi palcoscenici con Lavia o Placido o ancora Haber, battitore libero dal sorriso ampio e dal fascino illimitato, si è lanciato nella ricerca di risposte sul campo dal titolo ‘Gli amori difficili‘, impasto vitale tra Italo Calvino e Pasolini, un’indagine emotiva per fotografare una Sardegna, non da cartolina e non dei Briatore, per tentare di recuperare una memoria collettiva che va pian piano seppiandosi e sbiadendosi, assottigliandosi, cercando di recuperare un senso comune profondo di comunità, attraverso oggetti, fotografie e raccolta di momenti, ricordi, per non perdere un passato, certo faticoso e irto di problematiche, ma al tempo stesso, magmatico e impregnato di valori sani.

Anche Oscar De Summa lavora sulla memoria, personale, di un paese, e di un Paese, con ‘Stasera sono in vena’, ultima sua piece che sta ottenendo consensi di pubblico e critica. A Soleminis ha trovato rifugio per poter portare a termine la sua nuova scrittura ‘La sorella di Gesù Cristo’, andata in scena in forma di lettura sotto un ulivo da orto di Getsemani, ancora ambientata a Erchie, paesino del Salento che gli ha dato i natali, altro mix tra violenza e nomignoli onomatopeici, tra un dialetto sporco gramelot e appuntito da far male e una costante sensazione di polvere e sole abbagliante, di strade strette e personaggi poco raccomandabili, dove la musica la fa da padrone, dove le risate alleviano le lacrime, e viceversa.

Puoi incontrare Giusy Merli, la ‘Santa’ del finale dell’Oscar ‘La grande bellezza‘ di Sorrentino, appena rientrata dall’aver girato una piccola parte nella nuova pellicola di Virzì, che sta lavorando, anima e corpo, ai ‘Pinocchi’ con Andrea Macaluso (attore per Lavia) e Mila Vanzini, oppure t’imbatti in Tindaro Granata qui con il suo autobiografico ‘Antropolaroid’, storia della sua famiglia, dove si respirano tutti i limiti e le libertà di una Sicilia antica e ancestrale, così nell’amore come negli abusi e nei soprusi.

E riscopri ‘Caffè Sinai’ dove, nel suggestivo cortile di Casa Spada, Ponzio Pilato (Alessandro Cevenini, spalla perfetta, composto e compunto, per lanciare l’istrioneria del compagno di scena) incontra Giuda (Daniel Dwerryhouse, energico, miccia esplosiva) in un dialogo tra lo specifico, il tecnico, il burocratese e il filosofico da una parte (testi di Paul Claudel) e la fascinazione del difetto, la mostra della fallacità umana.

demuruOppure ti lasci accarezzare dalle poesie scaltre e terrene di Bobo Rondelli, con la sua livornesità, sempre a metà strada tra un morso e un abbraccio, ruvido e caloroso contemporaneamente, o ti fai cullare dalla voce salmastra di Monica Demuru, che si spalma come olio di mandorla sulla pelle ferita, che, con Lello Pareti al contrabbasso, ci portano in quella dimensione, tra cielo e terra, sconosciuta ai più. Quasimodo, la Casa delle Storie, l’avrebbe descritta così: “Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di Sole: ed è subito sera”.

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