Non è passato neppure un anno da quella conferenza stampa in cui Max Boccio e la moglie rumena Mirela Chirisi, prospettavano per la Fulgor Libertas, gloriosa squadra di pallacanestro di Forlì un futuro radioso: dalla difficile situazione economica da cui prometteva di salvarla fino al paradiso dei professionisti e addirittura della Eurolega il passo, prometteva Boccio, sarebbe stato breve. Oggi però l’ex cestista, l’imprenditore che ha legato il suo nome alla catena Caffè Maxim poi fallita nel 2006, secondo quanto appreso da ilfattoquotidiano.it è indagato assieme alla sua compagna per la vicenda che ha portato nei mesi scorsi al fallimento della società cestistica.

Già a gennaio 2015, tra le proteste dei tanti tifosi, le canotte biancorosse erano state ritirate dal campionato di serie A2 Gold dopo ritardi nei pagamenti degli stipendi ai giocatori. Non solo, secondo la Guardia di Finanza della compagnia di Forlì la Fulgor Libertas nei pochi mesi dell’era Boccio avrebbe pagato in giro per l’Italia con assegni scoperti alberghi, ristoranti, commercianti. Ora, assieme alla coppia (Chirisi era ufficialmente la presidentessa della Fulgor, mentre Boccio si definiva solo un consulente), anche altre tre persone, tra cui due periti (uno bolognese, un altro campano ma residente in Veneto), sono state iscritte al registro degli indagati dal procuratore di Forlì Sergio Sottani e dal sostituto Federica Messina.

Il procuratore Sottani ha anche disposto un sequestro probatorio per un valore di quasi 45 milioni di euro. Martedì 14 luglio la Guardia di Finanza ha sequestrato infatti i 5 milioni di euro in azioni della Fulgor Libertas. Si tratta delle partecipazioni azionarie oggetto dell’aumento di capitale, secondo l’accusa fittizio, che consentì la trasformazione della società da Srl a Spa nel mese di luglio 2014 quando Boccio entrò nell’affare per rilevare la società. La Fulgor in quella operazione passò da un capitale di 50 mila euro a oltre 5 milioni. Un capitale sociale enorme se si pensa che i campioni d’Italia della Dinamo Sassari ne hanno uno da 100 mila euro, mentre la società italiana più ricca, La Olimpia Milano ha un capitale da 3 milioni di euro.

Poi sotto sequestro sono finiti i 27.260.000 di euro di azioni del Gruppo Industriale Chirisi-Boccio: anche il capitale di questa società nel luglio 2013 era stato aumentato tramite dei conferimenti in natura: polizze assicurative e bonds svizzeri emessi dalla MBC Swiss Sa, una società secondo la Guardia di Finanza riconducibile allo stesso Boccio. E anche in questo caso l’aumento era stato impressionante: secondo quanto ricostruito dalle fiamme gialle si sarebbe passati da 10 mila a oltre 27 milioni di euro.

Per Boccio e sua moglie i reati contestati dalla procura di Forlì sono truffa aggravata, aumento fittizio del capitale sociale, infedeltà patrimoniale e bancarotta fraudolenta. Per quest’ultimo reato Boccio ha già alle spalle una condanna a tre anni e otto mesi inflitta dal tribunale di Bologna. Per i due periti il reato contestato è la falsa perizia. La terza società finita nell’inchiesta è invece la veneta Safla s.p.a., che aveva ceduto dei titoli alla Fulgor nel settembre scorso e alla quale sono state sequestrate azioni per 12.500.000 euro. Il titolare della ditta è indagato per false comunicazioni sociali e aumento fittizio del capitale sociale.

Boccio, bolognese, dopo una buona carriera giovanile nel basket si era dato all’imprenditoria nel settore del caffé con la catena Caffé Maxim che per alcuni anni fu anche sponsor della squadra di basket della Virtus Bologna. Ma la vicenda non finì bene visto che la catena di Boccio dopo poco tempo fallì.

“O non hanno letto gli atti o hanno preso un abbaglio“, commenta Boccio contattato da ilfattoquotidiano.it. L’ex cestista respinge le accuse: “Mi fa ridere un’accusa di bancarotta su una società dove non c’era assolutamente nulla quando siamo arrivati. La bancarotta presuppone una distrazione di capitali che però ci devono essere altrimenti non c’è nulla da distrarre. La situazione – ha proseguito Boccio – quando siamo arrivati a Forlì era estremamente grave. Un po’ da parte di vecchi soci e un po’ da parte di qualche istituzione ci sono stati atteggiamenti e atti per i quali a febbraio abbiamo fatto denuncia alla Guardia di Finanza di Bologna, ma sembra che il fascicolo nostro non sia stato ancora guardato”, spiega l’imprenditore che poi conclude: “Penso che presto o tardi si potrà parlare con il pubblico ministero e vedere di chiarire la vicenda”.

*corretto dalla redazione web il 17 luglio 2015

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