Musica

Blonde Redhead, a Milano un concerto raccolto per un pubblico denso, entusiasta

Kazu Makino stretta in un vestitino bianco: voce operistica - e chitarra e synth quando servono - sporcata quanto basta per entrare in sintonia con la chitarra elettrica di Amedeo e la batteria di Simone Pace: "Siamo sempre noi, noise e al tempoo stesso romantici melodici"

di Mario Portanova

Energici, originali, riservati. Alla fine del concerto dicono tre grazie in tre e non una parola di più. Ma i Blonde Redhead il loro pubblico lo appagano altrimenti, con una sorta di rock lirico fuori dai canoni. Un pubblico non vasto ma denso, entusiasta: al Carroponte di Sesto San Giovanni, dove un tempo la Breda fabbricava treni, hanno aperto il palco piccolo, quello laterale, ma meglio così: concerto raccolto, contatto quasi fisico, come si conviene a una band che non concede nulla allo show, salvo gli ambosessi che dalla platea gridano il loro amore – chiamamolo così – per la bella Kazu Makino stretta in un vestitino bianco: voce operistica – e chitarra e synth quando servono – sporcata quanto basta per entrare in sintonia con la chitarra elettrica di Amedeo e la batteria di Simone, che di cognome fanno Pace e sono fratelli gemelli accomunati in particolare da folti ricci brizzolati. Nati in Italia, cresciuti in Canada e poi trasferitisi negli Usa dove hanno dato vita al gruppo. Una band che viene ormai da lontano: il loro primo disco, “Blonde Redhead“, è datato 1994, l’ultimo “Barragán“, 2014.

Il segreto del loro moderato e solido successo lo ha raccontato Kazu Makino al Corriere della Sera, alla vigilia del concerto al Carroponte: “Siamo sempre noi, noise e al tempo stesso romantici melodici”. Mentre il batterista Simone Pace ha rivelato che Barragán è stato scritto pensando “ai Kraftwerk, Serge Gainsbourg, a “Tusk” dei Fleetwood Mac e ad alcune canzoni scritte da Chico Buarque con Morricone”. Nella sua ossessione tassonomica, Wikipedia annovera i Blonde Redhead nei filoni “indie rock, alternative rock, rock psichedelico, dream pop (che sempre Wikipedia ci spiega essere un “sottogenere dll’indie pop”). Ma se appartenete all’ampia maggioranza degli esclusi dal piccolo culto del trio italo-nippo-americano, la cosa migliore è ascoltare qualcuna delle loro hit. Per esempio Misery is a Butterfly o Violent Life, scelte personali sì, ma vidimate dall’acclamazione della piccola folla raccolta sotto il palco laterale del Carroponte.

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