Donne

Jobs Act, tre mesi di congedo per le donne vittime di violenza. Ma Telefono Rosa: “Norma irrealistica”

Per la prima volta una legge riconosce un congedo retribuito alle vittime di violenza, ma Gabriella Moscatelli, presidente dell'associazione che da vent'anni si occupa di violenza di genere, avrebbe preferito vedere rifinanziato il Piano nazionale antiviolenza della Presidenza del Consiglio

di Sara Dellabella

Per la prima volta una norma riconosce un congedo retribuito di tre mesi alle donne vittime di violenza. La disposizione è contenuta in uno dei decreti attuativi del Jobs Act emanati lo scorso 11 giugno. Cosa prevede la norma? Sul sito del governo è sintetizzata così: “Il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti di imprese private di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi. Viene anche introdotto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a richiesta della lavoratrice. – con una specifica – Le collaboratrici a progetto hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per analoghi motivi sempre per un massimo di tre mesi”. Una novità importante che però raccoglie le prime critiche proprio dal Telefono Rosa. “Si tratta di essere realisti”, commenta Gabriella Moscatelli, presidente dell’associazione che da oltre vent’anni tutela le vittime di violenza e i loro bambini, “perché nella mia lunga esperienza avrò incontrato solo due donne che avevano un lavoro stabile e che avrebbero quindi potuto beneficiare di una legge così congegnata”.

Il tessuto sociale delle donne vittime di violenza è molto debole, sono appena il 7 per cento quelle che trovano il coraggio di denunciare, come rileva l’Istat, e tra queste la percentuale di quelle con un’occupazione stabile è bassissima. “Sono dati che confermano la difficoltà per le donne di raccontare il proprio dramma alle autorità e figuriamoci quello che potrebbero provare nel farlo di fronte al proprio datore di lavoro. Senza contare che all’interno dell’azienda non è garantita alcuna privacy. Non tutti lavorano nelle amministrazioni pubbliche, molti lavorano in piccolissime aziende. E poi in una simile situazione economica le donne hanno sempre più paura a chiedere congedi ai propri datori di lavoro”. Insomma, la norma emanata dal governo non convince per niente l’associazione che avrebbe preferito vedere rifinanziato il Piano nazionale antiviolenza della Presidenza del Consiglio: i soldi per il 2015 sono ancora al palo e un’altra serie di sostegni per la famiglia, come asili e scuole che non chiudono il 10 giugno lasciando ai genitori la difficile pratica di dover alloggiare i figli presso centri estivi, nonni e altre soluzioni di fortuna.

Nel realismo e nella statistica di una lunga esperienza al fianco delle vittime di violenza, la presidente Moscatelli aggiunge anche un altro elemento: “Una donna con un lavoro è una donna emancipata sia dal punto di vista economico che relazionale. Ha già in possesso molti strumenti per liberarsi dalla violenza. Quelle con cui abbiamo a che fare quotidianamente invece sono donne che prima di tutto vivono un rapporto di dipendenza con il proprio aguzzino e una norma così non tiene minimamente conto della realtà”.

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