Missione compiuta. In poco meno di un paio di mesi, Matteo Renzi è riuscito a defenestrare i vertici della Cassa Depositi e Prestiti. L’assemblea della società pubblica custode dei risparmi postali degli italiani ha deciso venerdì 10 luglio di sostituire l’ad, Giovanni Gorno Tempini, con Fabio Gallia, numero uno di Bnl (gruppo Bnp Paribas), citato in giudizio dalla procura di Trani per presunta truffa sulla vendita di derivati. Non prima di aver provveduto ad una modifica statutaria sui requisiti degli amministratori che consente a Gallia di accedere all’incarico nonostante la pendenza dell’inchiesta giudiziaria. L’assise ha poi votato a favore della candidatura alla presidenza di Claudio Costamagna, ex banchiere di Goldman Sachs e presidente del gruppo di costruzioni Salini, che subentrerà a Franco Bassanini.
Quanto al resto del consiglio, l’assemblea ha confermato i due esponenti del Tesoro, Alessandro Rivera, capo degli affari legali di via XX settembre, e Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico. L’assise ha infine sancito l’ingresso nel board di Cdp dell’imprenditrice Isabella Seragnoli e del direttore generale di Assonime, Stefano Micossi. A rappresentare gli interessi delle fondazioni, socie di Cdp con poco più del 18%, saranno invece Mario Nuzzo, che diventa vicepresidente, Carla Patrizia Ferrari, in quota Compagnia di Sanpaolo, e Alessandra Ruzzu, indicata dalla Fondazione Banco di Sardegna.

Il nuovo assetto di comando della Cassa Depositi e Prestiti diventerà operativo il prossimo 13 luglio e passerà immediatamente al lavoro per predisporre il piano industriale 2016-2018. Le nuove linee strategiche dovranno però tener conto delle condizioni imposte dalle Fondazioni: nella lunga e delicata assemblea che ha avallato il nuovo management, i soci bancari sono riusciti ad ottenere garanzie sulla distribuzione di dividendi e hanno presidiato il paletto giuridico che vieta di investire in società in perdita. Non solo: le banche hanno anche chiesto e ottenuto un duplice sistema di controllo basato sulla creazione di un comitato rischi e di un comitato strategico, che saranno guidati dal vicepresidente. In questo modo, le Fondazioni hanno manifestato concretamente il loro no alla trasformazione della società di via Goito in una nuova Iri come vorrebbero invece Renzi e il suo consulente, Andrea Guerra.

Basteranno questi paletti nel governo societario a garantire il buon utilizzo dei risparmi postali degli italiani? Un primo indizio verrà certamente dal nuovo piano industriale di Costamagna, banchiere che Guerra conosce bene per via della comune esperienza in Luxottica. Costamagna era infatti consigliere indipendente nell’azienda che il consigliere di Renzi ha guidato per dieci anni e che ha lasciato nel settembre 2014 intascando una maxi liquidazione da 11 milioni. La cifra all’epoca del divorzio Guerra-Luxottica fece scalpore, ma, secondo quanto spiegato dallo stesso Costamagna all’agenzia di stampa Mf-Dow Jones il 5 settembre 2014, era tutto sommato “limitata rispetto ad altre che si sono viste (…) Siccome sono il presidente delle risorse umane e sono io che ho approvato” la liquidazione “mi sembra giusto puntualizzarlo”. Tornando al futuro della Cdp, per ora di certo c’è solo l’addio di Bassanini e di Gorno Tempini che in più occasioni si sono messi di traverso ai piani di investimento e di salvataggio ipotizzati dall’esecutivo. L’ultima in ordine temporale è l’idea di palazzo Chigi di spingere Cdp a diventare azionista di Telecom Italia, gruppo gravato da 29 miliardi di debiti e al centro della partita per la diffusione della banda ultra larga nel Paese. Ufficialmente Bassanini ha dichiarato di non aver mai ricevuto una richiesta di intervento in Telecom da parte del governo. Ma le recenti dichiarazioni di Guerra sul ruolo delle Casse Depositi straniere nel capitale degli ex monopolisti telecom lasciano intuire che a palazzo Chigi ci sia più di una semplice riflessione sul tema. Tanto piu che l’ex monopolista proprietario della rete in rame, è nel pieno di un riassetto azionario con l’arrivo del socio francese Vivendi e del suo presidente Vincent Bolloré.

C’è quindi da scommettere che il dossier Telecom sarà in cima alle preoccupazioni dei nuovi vertici chiamati ad affrontare a stretto giro lo spinoso dossier Ilva attraverso il fondo salva-imprese in cui la Cassa ha promesso di puntare fino a un miliardo come investitore garantito. Taranto, per cui il governo avrebbe voluto un impegno diretto e immediato da parte di Cdp, è un banco di prova fondamentale per rodare un meccanismo di salvataggio tenuto sotto stretta osservazione da Bruxelles. E per testare con mano “la maggiore incisività della Cassa” auspicata da Guerra. Finora, come ha ricordato il ministro Pier Carlo Padoan nei ringraziamenti a Bassanini e Gorno Tempini, “l’evoluzione di Cdp è avvenuta mentre andavano migliorando gli indicatori di patrimonializzazione e redditività insieme ai dividendi”. Vedremo se il nuovo tandem riuscirà a fare lo stesso preservando la redditività del custode dei risparmi postali degli italiani.

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