“E’ da vent’anni che lo ripetiamo: si tratta di un’emergenza drammatica. La gente muore, qui più che altrove. Ci devono spiegare scientificamente il perché. Continuare a rimandare è assurdo”. La vista del mare di Gallipoli fuori dalla finestra non placa la rabbia nella voce di Giuseppe Serravezza, medico e presidente provinciale della Lilt. Al settimo piano dell’ospedale Sacro Cuore di Gesù, alle nove del mattino, i malati affollano fino all’inverosimile i corridoi del suo reparto: oncologia. E’ la realtà, umana, contro cui si schiantano numeri, cartine, congetture. L’incidenza inarrestabile del cancro al polmone in provincia di Lecce è da tempo un “caso” nazionale. Un caso ignorato.

Solo ora l’Istituto Superiore di Sanità inizia a muovere i primi passi. Meglio tardi che mai, certo. Ma modi e mezzi paiono ancora insufficienti. “Capire non è interessato a nessuno. Chiedo da dieci anni uno studio coordinato dall’ISS e non ho mai avuto fortuna in questo”. Giorgio Assennato, direttore di Arpa Puglia, è un’altra delle Cassandre di questa storia. “Il 30 ottobre – annuncia – saremo a Roma, convocati dall’ISS, che ci consegnerà un report inedito sulla questione Lecce”. Ci si aspetta si vada oltre l’ennesima fotografia, in realtà già abbastanza chiara, della realtà. Il quadro epidemiologico è consolidato da troppi anni. Eppure, il passo successivo, quello più importante, l’individuazione precisa delle cause, è ancora paralizzato. “Non ci danno un contributo per la ricerca, non c’è un coordinamento. Ci hanno lasciato soli – tuona Assennato – Eppure, ci sono dati conclamati che confermano la singolarità del fenomeno già dagli anni Sessanta. E’ scritto in tutte le Relazioni dello stato di salute della popolazione pugliese. Questo è il tipico caso in cui avrebbe avuto senso un intervento approfondito del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie. Nulla”.

Che si tratti della vera bestia nera lo confermano gli ultimi dati ufficiali, resi noti in questi giorni. Sono quelli relativi all’aggiornamento al 2005 del Registro tumori di Lecce, fermo al biennio 2003- 2004. Dicono che il 20% degli uomini salentini che si ammalano di cancro lo contraggono al polmone. E’ una media del 5% in più rispetto a Taranto. “Anomalia che lo scorso anno, con una frase incauta, ha sottolineato anche l’allora ministro all’Ambiente Corrado Clini, nel pieno della crisi Ilva. La verità – dice un infuriato Serravezza – è che non ci hanno mai dato retta abbastanza. Le istituzioni non hanno voluto vedere. Pensi che è stata l’Eni a finanziare per anni il Registro tumori ionico-salentino, oggi assorbito in quello accreditato. La vera sfida, però, è scomporre i dati, analizzarli per comuni. Noteremo che i distretti di Maglie e Galatina hanno numeri abnormi. E la spiegazione non può essere il fumo di tabacco”.

Di certo, c’entra la pressione ambientale. Ma di che tipo e da quale fonte provenga sembra essere un mistero, a volte chiarissimo, ma mai confermato con tutti i crismi della scientificità. Uno studio del Cnr di Lecce ha dimostrato come i venti facciano la loro parte, convogliando le emissioni dei poli industriali di Taranto e Brindisi in quell’imbuto che è la provincia leccese. S’indaga sul radon. La sua concentrazione, in alcune scuole, è risultata oltre i valori soglia. C’è, poi, la migrazione di ritorno per chi ha contratto il rischio lavorando fuori, nelle miniere e nelle fabbriche. Ci sono le piccole ciminiere sparse qua e là, i cerini accesi sul territorio e che sfuggono alle rilevazioni in continuo dei fumi. La Rete di prevenzione oncologica leccese, inaugurata in primavera, dovrebbe provare a districare quest’intreccio. Ma, ancora una volta, si combatte con lance spuntate. “Stiamo procedendo – ammette Assennato – con il controllo di casi campione su cittadini residenti da lungo tempo. Dobbiamo, però, trovare prima i fondi per chi andrà ad intervistarli”.

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