Giocare a calcio sotto le bombe, come negli altri territori di guerra. Anche in Yemen c’è chi continua a inseguire un pallone mentre tutto intorno è morte e devastazione. Il campionato di calcio, la Yemeni League che di solito si disputa da novembre a giugno, è stato rinviato a data da destinarsi e solo la nazionale continua a giocare nelle qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018, tra mille traversie logistiche e non solo.
“Il campionato è fermo da oltre un anno e nessuno dei miei calciatori ha giocato in partite ufficiali. Nessuno si può nemmeno allenare, perché gli stadi e le infrastrutture sono stati distrutti dai bombardamenti. Ai ragazzi tocca stare in casa e aspettare le trasferte delle nazionali”, spiega Miroslav Soukup, commissario tecnico. E’ di oggi la notizia di una possibile tregua dopo oltre quattro mesi di sanguinario conflitto. Dopo che a gennaio la minoranza houthi ha destituito il dittatore Abed Rabbo Mansour Hadi, rifugiatosi in esilio a Riyad, a marzo è cominciato un bombardamento a tappeto del paese che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha causato oltre mille morti, lasciando l’80% della popolazione al di sotto delle minime condizioni di sopravvivenza.
In quella che era una sorgente di acqua naturale ai margini del deserto, culla di una delle più antiche civiltà conosciute e poi un crocevia di culture e religioni, oggi c’è solo devastazione. Ovunque. I profughi sono oltre un milione. Il livello di allerta è massimo e le Nazioni Unite hanno già denunciato più volte come indiscriminati e illegali i bombardamenti dell’aviazione dell’Arabia Saudita. Ma in Occidente, forse perché le bombe sono dell’alleato saudita contro una minoranza appoggiata dall’Iran, di questo sanguinoso conflitto non se ne parla quasi.
“Siamo devastati dalla guerra in corso, ma tutto quello che possiamo fare è tenere la testa alta e continuare a giocare a pallone, sperando di poter tornare un giorno a farlo a casa nostra”, ha detto il capitano della nazionale Ala Mohammed Al-Sasi. Il giocatore ha parlato a margine dell’ultimo incontro della nazionale, valido per il primo girone di qualificazione a Russia 2018, disputato a Doha il 16 giugno: una sconfitta per 2-0 contro le filippine che lascia la squadra sul fondo della classifica con zero punti, dopo che anche la prima partita la settimana precedente è stata persa 3-0 a tavolino per aver schierato un giocatore squalificato contro la Corea del Nord.
Allucinante è il racconto che fa del viaggio intrapreso dalla nazionale per disputare le due partite. Con l’aeroporto della capitale Sana’a distrutto e inutilizzabile, e il viaggio via terra impraticabile per i continui bombardamenti dal cielo, l’unico modo per raggiungere Doha, il campo neutro dove lo Yemen ha deciso di giocare le partite casalinghe, è stato via mare. Non tutti sono partiti, che per alcuni era impossibile anche solo raggiungere il punto d’incontro. Chi ci è riuscito si è poi dovuto imbarcare per tredici ore di gommone per raggiungere Gibuti attraverso il golfo di Aden, e da lì l’imbarco per Doha.
Dove il solo fatto di poter scendere in campo, per una volta al di fuor di retorica e al di là del risultato, è stata la ricompensa. “E’ stato difficile anche solo riuscire a incontrarci per organizzare la trasferta – ha detto Al-Sasi – ma la nostra determinazione è stata per i nostri famigliari e i nostri affetti in Yemen. Il nostro popolo ha bisogno della pace, ha già sofferto troppo ed è ora di mettere la parola fine a quello che sta succedendo”.
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