Il ddl sull’autismo approvato definitivamente l’8 luglio alla Camera apre una sfida. Sei articoli, facili e concisi, che promettono interventi efficaci nella diagnosi, cura e trattamento al disturbo senza aggiungere un euro in più al budget sanitario. “È comunque un passo in avanti – commenta Liana Baroni, presidente nazionale Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) -. Con questo provvedimento per la prima volta l’autismo viene riconosciuto ufficialmente dallo Stato. Fino al 2011, anno in cui l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato le prime linee guida, le famiglie erano disorientate, non sapevano come fare valere i diritti dei figli malati. Oggi è diverso, c’è più consapevolezza, ma le regioni finora non hanno messo in pratica le raccomandazioni. La legge serve a renderle obbligatorie”.

Formazione del personale sanitario, progetti a sostegno delle famiglie, centri di assistenza qualificati, promozione dell’informazione: tutti obiettivi che il provvedimento si prefigge e inserisce nei nuovi Livelli essenziali di assistenza. Ecco la novità, appunto. Poi nell’ultimo articolo si legge: “Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Ma i nuovi Lea (che includono epidurale, ludopatia, fecondazione eterologa, screening neonatale per la sordità), annunciati oltre un anno fa, a che punto stanno? Dovevano essere pronti per il 31 dicembre 2014. Stato e Regioni si sono accordati per spostare la scadenza al 30 giugno 2015. Oggi siamo ancora in attesa. Un piano del ministero da 470 milioni di euro, anche se per le Regioni potrebbero essere di più. Nel frattempo è stato azzerato l’aumento del fondo per la sanità di 2,3 miliardi di euro previsto per il 2015, e più di quattro miliardi sono stati tagliati dalla legge di Stabilità. In pratica, con la spending review tra il 2011 e il 2015 il fondo sanitario nazionale è stato ridotto di oltre 31 miliardi.

Continua Baroni: “Un soggetto affetto da autismo costa in media 40/50mila euro l’anno se si considerano cure sanitarie, riabilitazione e sostegno scolastico. Fino adesso – sottolinea – chi voleva interventi ad alta professionalità e percorsi individualizzati ha dovuto pagarseli. E poi dopo i 18 anni la persona autistica diventa un disabile qualsiasi e perde tutti i servizi specifici di cui ha bisogno”.

Gianluca Nicoletti, giornalista di Radio24 e scrittore, papà di Tommy, un ragazzo autistico di 17 anni, e da sempre in prima linea nella battaglia per la patologia non grida vittoria: “Una legge senza soldi a cosa serve? Spero almeno a spendere meglio le risorse pubbliche e a non sprecarle. C’è chi è ancora convinto di mandare in analisi la madre, di prescrivere diete disintossicanti all’autistico o terapie psicodinamiche ormai superate”.

Il ddl (che è a prima firma di Paola Binetti, Pd) lascia aperto un interrogativo. Quando i genitori vengono a mancare o sono troppo anziani per badare al figlio malato chi ci pensa a lui? In realtà esiste una proposta di legge sul “Dopo di noi”, voluta dalla deputata dem Ileana Argentin, ancora ferma a Montecitorio però. Nicoletti aggiunge: “Io da tempo propongo i ‘trust familiari’ e nel mio piccolo li sto sperimentando. Si tratta di mettersi d’accordo con altre famiglie con figli autistici per aiutarsi a vicenda, soprattutto durante le vacanze estive, a turno chi ha la casa al mare o in montagna ospita gli altri”.

Un altro buco nero riguarda i numeri. Di ufficiali sul fenomeno non ne esistono. I medici si limitano a fare un’ipotesi di quasi 600mila pazienti. Cifre molto approssimative comunque. Gli unici dati certi arrivano dagli Stati Uniti. Secondo il Center for disease control and prevention (Cdc), un bambino americano su 68 nati rientra tra i disturbi dello spettro autistico. Con una frequenza quattro volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Il totale, calcola il Cdc, è di tre milioni di persone affette negli Usa e di circa 60 milioni nel mondo. Il 2 aprile scorso Miur e ministero della Salute hanno firmato un protocollo d’intesa per tutelare i soggetti autistici nelle scuole e nelle strutture sanitarie. Sul tavolo finalmente c’è anche una stima degli alunni autistici e la distinzione delle diverse tipologie del disturbo di cui soffrono.

Le difficoltà delle famiglie – Oggi tante famiglie navigano a vista. “I centri di riabilitazione delle Asl non possono prendersi cura di mio figlio, ho ricevuto 17 risposte negative. L’unica soluzione sono le associazioni private a mie spese”, racconta Maria Marassi, madre di Matteo che ha 35 anni e soffre di autismo. Vive a Roma, è vedova, e campa con la pensione del marito (1600 euro) e l’assegno di invalidità totale del figlio da 250 euro. Fino a due anni fa Matteo, diplomato in agraria, seguiva il progetto Filippide, finanziato dal comune, che cura la sindrome autistica attraverso lo sport.

“Noi abitiamo in zona Eur, dovevo attraversare tutta la città, non ce la facevo più. Così ho iscritto mio figlio al centro riabilitativo dell’Asl vicino a casa, lo hanno tenuto un anno, poi il 27 aprile mi hanno detto che non avrebbero più rinnovato l’iscrizione e che avrei dovuto portarlo in una rsa (residenza sanitaria assistenziale, ndr). Mi sono rifiutata, quelle strutture non sono specializzate per i problemi di Matteo”. La signora Maria allora si è rivolta alla onlus “L’erba cresce”. “Costa 80 euro al giorno, per risparmiare lo vado a prendere nel primo pomeriggio oppure lo mando a giorni alterni. Sono da sola, non posso permettermi di offrirgli l’assistenza che merita”. Paola Quatrini, presidente della onlus, e mamma di Valerio, ragazzo autistico di 25 anni, confessa: “Io ho chiesto la liquidazione del lavoro quando mio figlio aveva 11 anni per sostenere le terapie cognitive. Hanno dato dei risultati, per fortuna”.

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