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Junk food, uno studio americano conferma il legame tra il consumo di cibo spazzatura e la depressione

"La depressione associata al consumo di junk food - sottolinea Laura Bellodi, psichiatra e direttrice del centro disturbi alimentari dell’Ospedale San Raffaele di Milano - non è caratterizzata da pensieri pessimisti e bassa autostima, in questo caso le cause sono di tipo relazionali, ambientali e genetiche. Va intesa piuttosto come senso di spossatezza e perdita di energie”. Altro luogo comune da abbattere: mordere dolci dà conforto. “Solo nell’immediato", precisa la psichiatra

di Chiara Daina

Più “schifezze” si mangiano più il morale va sotto terra. Sono avvisati i golosi di hamburger, hot dog, patatine fritte, merendine, bibite varie. Ma non è una novità. Già nel 2012 una ricerca dell’Università di Las Palmas e di Granada (uscita sulla rivista Public health nutrition), basata su circa novemila cavie, aveva dimostrato che il consumo di cibo spazzatura (noto in inglese come junk food), cioè ricco di grassi e zuccheri, aumenta il rischio di scivolare nella depressione. Oltre a rovinare il girovita. Il pericolo era stato riscontrato in particolare nei single, per lo più fumatori, che superano le 45 ore di lavoro settimanali. L’ultima conferma è arrivata nei giorni scorsi. Secondo uno studio pubblicato sull’American journal of clinical nutrition e guidato da James E. Gangwisch, ricercatore alla Columbia university, gli alimenti ad alto indice glicemico (cioè che aumentano la concentrazione di glucosio nel sangue) abbassano l’umore nelle donne in post menopausa (il periodo compreso tra la menopausa e l’inizio della senilità, fissata a 65 anni).

Sono stati presi in esame i dati di 70mila signore grossomodo che hanno partecipato al Women’s health initiative observational study. Nessuna di loro accusava malessere quando è partita l’indagine. I valori di riferimento risalgono tra il 1994 e il 1998. Poi nei tre anni successivi le signore sono state sottoposte a una serie di controlli periodici. Quello che ha scoperto il team americano è che chi ha abusato di zuccheri e carboidrati raffinati, quelli che si trovano nel pane, biscotti, pasta, riso, ma anche frutta e cereali, è più predisposto alle malattie cardiovascolari e a stati infiammatori che a sua volta influenzano negativamente lo spirito. Mentre chi ha privilegiato fibre, verdure e prodotti integrali è meno esposto a questi disturbi.

Diete ipercaloriche e poco sane, inoltre, possono sviluppare nel soggetto la resistenza all’insulina, ossia una minor capacità delle cellule di rispondere all’azione esercitata dall’insulina, l’ormone che regola il livello di glucosio nel sangue. Una condizione che, stando ai ricercatori, si manifesta in presenza di un deficit cognitivo, come la mancanza di memoria o la difficoltà nell’apprendimento. A questo punto occorre chiedersi se il ragionamento valga per tutti. “Potrebbe essere così ma questa ricerca non lo prova – spiega Laura Bellodi, psichiatra e direttrice del centro disturbi alimentari dell’Ospedale San Raffaele di Milano -. Nella donna in età fertile, per esempio, gli ormoni rilasciati nel ciclo mestruale esercitano una funziona positiva sull’umore. In generale si può dire che il nemico non sono gli zuccheri, ma quelli che noi mangiamo in più rispetto al nostro fabbisogno. Tutto quello che altera l’equilibrio dell’organismo ci allontana dallo stato di benessere”. La depressione associata al consumo di junk food, sottolinea Bellodi, “non è caratterizzata da pensieri pessimisti e bassa autostima, in questo caso le cause sono di tipo relazionali, ambientali e genetiche. Va intesa piuttosto come senso di spossatezza e perdita di energie”. E fa un esempio: “Il paziente diabetico accusa anche un abbassamento dell’umore e una qualità della vita inferiore”.

Altro luogo comune da abbattere: mordere dolci dà conforto. “Solo nell’immediato – precisa la psichiatra -. Lo studio americano insiste più che altro sugli effetti nel lungo periodo. Va detto però che il legame tra l’umore e il livello di glucosio ematico è un’ipersemplificazione, perché non è immediato, ma l’ultimo anello di una catena di eventi molto più complessi. Una volta che l’organismo ingerisce gli zuccheri, questi possono essere accumulati come riserva energetica o spesi immediatamente. Se è in corso un processo infiammatorio intervengono altre sostanze che interagiscono con il metabolismo, per esempio gli ormoni dello stress, e che richiedono di bruciare più calorie”.

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