Alzi la mano chi in vita sua non è uscito almeno una volta da un concerto lamentandosi per la parsimonia con cui l’artista in cartellone si è concesso. Alzi la mano chi non si è addirittura ritrovato a fare i conti, letteralmente, tra i tanti soldi tirati fuori per il biglietto e le poche canzoni eseguite, i pochi minuti passati sul palco. Scene di ordinaria amministrazione, per chi è solito frequentare i concerti. Poi però succede quel che è successo ieri in Damimarca, al Roskilde Festival, e uno si dice: allora c’è ancora qualcuno che sale quei fatidici scalini che dividono il backstage dalla scena per passione, esiste ancora chi si dona generosamente al pubblico. A essere un filo meno poetici, magari, si potrebbe anche tirare in ballo l’uso altrettanto generoso di sostanze stupefacenti, ma per una volta lasciamo da parte le supposizioni e atteniamoci ai fatti.

Ieri al Roskilde Festival era in cartellone il concerto dell’Africa Express Project. In pratica una sorta di all star band, capeggiata da Damon Albarn, e con al suo fianco gente come lo Yeah Yeah Yeahs Nick Zinner, Jeff Wooten, Songhoy Blues e Seye Adeklan. Il tutto con la presenza estemporanea sul palco di tutta una serie di ospiti più o meno illustri, dal Blur Graham Coxon alla cantautrice Laura Mvula. Star qui a contare i progetti che vedono coinvolto Albarn è impossibile, non bastarebbero le battute a disposizione per un articolo, e sicuramente resterebbe fuori qualcosa. Di fatto l’Africa Express Project si è presentato sul palco del Roskilde con le migliori intenzioni, e con un Damon Albarn quantomai effervescente. La superband ha eseguito un repertorio variegato, andando a pescare nei repertori delle varie band del nostro e anche in quelli di altri artisti. Ci sta. Una superband non ha un proprio repertorio di riferimento, e va a pescare nei classici come in chicche un po’ meno note. Del resto un concerto che si voglia dire tale deve durare almeno un paio d’ore, si saranno detti i tanti accorsi tra il pubblico. Poi però succede che le canoniche due ore vengano superate. E anche le tre. Quando si superano le quattro ore, ormai a tardissima notte, la cosa diventa un po’ surreale. Si ha l’impressione di assistere a un evento unico, di quelli che si ricorderanno nel tempo. Così è. Specie quando alle quattro di mattina, mentre la band, o quel che ne è rimasto sul palco, esegue una sgangherata versione di Should I stay Should I go dei Clash, salgono sul palco due tipi della security, piuttosto imbarazzati, per intimare a Albarn di smetterla.

La gente acclama, ovviamente, perché ormai è diventata una questione di principio. Nessuno deve fermare la musica. Inizia una simpatica gag, che trovate nel video. La security chiede a Albarn di smetterla, lui gigioneggia col pubblico. Si toglie il giubbotto. Non sembra lucidissimo, ma potrebbe anche essere solo il fatto di aver cantato e suonato per cinque ore, non proprio uno scherzo. Alla fine il più grosso dei buttafuori, scherzosamente, se lo carica in spalle, mentre Albarn fa segno che non è ancora finita, chiedendo il sostegno del pubblico. In realtà il concerto finisce qui. E dal momento che si spengono le luci il tutto entra di diritto nella leggenda.

Articolo Precedente

Giornata mondiale del bacio, la top ten dell’arte

next
Articolo Successivo

Rihanna, il nuovo video “Bitch Better Have My Money” scandalizza gli inglesi

next