Pochi insegnanti madrelingua. Film doppiati per il 93% degli italiani. Pagine web in inglese consultate solo da uno su due mentre meno della metà approfitta delle vacanze all’estero per parlare lingue straniere. Il risultato? Una nazione incapace di parlare in inglese. Tanto che non stupisce più vedere l’Italia in 20esima posizione su 24 Stati europei secondo l’Indice di conoscenza dell’inglese dell’istituto EF. Una arretratezza che ha radici profonde e deve ricercarsi in errori più o meno banali che i bambini del Bel Paese sono costretti a “subire” tanto a scuola quanto in famiglia.

Questi i risultati della ricerca di Pili Pop, una start up nata per rispondere alla domanda: perché gli italiani non sanno parlare inglese? “Mettiamo a confronto l’asino con il primo della classe, ovvero l’Italia con la Danimarca – racconta Patricia Franciskovic, 26enne italiana nell’equipe del progetto – Il modo in cui l’inglese è insegnato a scuola è principalmente orale nel nord Europa e scritto in Italia, dove solo un bambino su dieci parla inglese ogni giorno (contro il 41% di quelli danesi), per non parlare di internet e film in lingua”.

“Il modo in cui l’inglese è insegnato a scuola è principalmente orale nel nord Europa e scritto in Italia”

 

“Siamo molto fieri e affezionati al nostro retaggio culturale – continua Patricia – Un atteggiamento che sicuramente non facilita l’apertura a culture straniere”. In sintesi, i paesi nordici eccellono in inglese non tanto perché si tratta di lingue simili, ma perché l’immersione nella lingua inizia fin da piccoli, ad esempio con cartoni animati non doppiati. Due approcci che portano a due realtà completamente differenti: mentre solo il 14% dei 15enni italiani padroneggia l’inglese, in Danimarca la percentuale sale al 99%. Colpa solo della scuola? Sicuramente anche il contesto familiare fa la sua parte. “Se i genitori sono i primi a guardare un film in lingua originale e a parlare inglese in vacanza – spiega Patricia – il bambino svilupperà una sensibilità diversa alle lingue rispetto alle famiglie in cui l’inglese è completamente assente”.

Un deficit linguistico che spesso si declina in impossibilità di costruirsi un futuro fuori dall’Italia. “Trovo davvero sconvolgente che tanti laureati facciano i camerieri o commessi all’estero. Padroneggiare l’inglese significa poter ambire a essere se stessi in qualsiasi Paese, senza compromessi”. Patricia, di madre italiana e padre croato, ha vissuto sulla sua pelle il modo in cui l’inglese viene insegnato in Italia, con “troppe lezioni frontali con al centro grammatica e scrittura mentre in Danimarca, per esempio, si privilegia la conversazione in classe su argomenti reali”.

“Siamo molto fieri e affezionati al nostro retaggio culturale. Un atteggiamento che sicuramente non facilita l’apertura a culture straniere”

Inoltre, “nei Paesi con i risultati più alti spesso gli insegnanti di inglese sono madrelingua – continua – oltre al fatto che il lavoro dell’insegnante è valorizzato e ritenuto molto importante dalla società”. Di contro, nelle scuole italiane solo il 3% del personale è madrelingua. E anche se Patricia oggi lavora come responsabile della comunicazione a Parigi proprio grazie alla sua conoscenza di inglese e francese, “tutto sarebbe stato più semplice se avessi iniziato un corretto apprendimento linguistico già da bambina”. Da qui la scelta di entrare nell’equipe di Pili Pop, un progetto per aiutare i bimbi dai 5 ai 10 anni a imparare l’inglese.

Laureata in traduzione a Trieste, poi un master in relazioni internazionali a Parigi e in marketing a Milano, prima di trasferirsi in Francia ha scartato diverse proposte di stage in Italia. “In Francia la situazione dei contratti è più trasparente rispetto all’Italia. Non posso dire che in Francia sia facile ottenere un contratto stabile, ma certamente c’è molta serietà e delle regole ben precise che impediscono lo sfruttamento dei giovani”.

“Conoscendo le lingue si può pensare di trovare un lavoro gratificante non per forza in Italia, ma anche all’estero”

La sua equipe di lavoro è fatta tutta da under 30, coetanei con cui ha sviluppato Pili Pop, un’applicazione per iPhone e iPad in cui i bambini possono accedere a tanti giochi in cui sono stimolati a pronunciare parole e frasi a voce alta, “perché sappiamo che l’inglese si impara meglio proprio partendo dall’orale e dalle parole di tutti i giorni”. Infatti, sempre secondo la ricerca, un bambino molto piccolo impara le lingue usando aree del cervello diverse da quelle usate da un ragazzo di 18 anni. Il risultato è che, prima si inizia, più velocemente la lingua viene assorbita in modo duraturo e naturale. Poi, conoscendo le lingue, “si inizia a capire di far parte di una comunità più grande e ricca di quella costituita dai soli propri connazionali. E perché no, si può pensare di trovare un lavoro gratificante non per forza in Italia, ma anche all’estero”.

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