Da un’isola sperduta dell’Egeo ad Atene, tappezzata di manifesti elettorali, assediata da manifestazioni e contromanifestazioni. Mentre il “sì” è in recupero tra appelli apocalittici e media catastrofisti. L’ultima puntata delle cartoline.

– 3 luglio 2015

1. Nel film “Captain Phillips” Tom Hanks è il capitano di una nave cargo in partenza dagli Stati Uniti. Mentre Hanks/Phillips si imbarca, in Somalia pirati senza scrupoli reclutano giovani disperati nei villaggi per assaltare navi cargo. Poi, improvvisamente, appare Tsipras con il ministro della difesa (e leader di Anel) Panos Kammenos, la trama si aggroviglia, si avvita su se stessa e non si capisce più nulla, tranne le solite parole amiche come “Evropi”, “kataklismos”, “klima” o “politikes”. Aspettiamo che torni Tom Hanks, pregustiamo già l’attacco dei pirati alla sua nave sulla quale sventola fiera la bandiera a stelle e strisce. Ma non c’è niente da fare. Tsipras ha ormai occupato tutti gli schermi della “Georgios I”, la nave che riporta al Pireo i turisti delle isole. Magari è qualcosa d’importante, pensiamo. Si è dimesso? Ha appena annunciato che il referendum non si farà?

Per fugare ogni dubbio mi alzo e mi avvicino a un giovane seduto due file più avanti che pare capire quello che si dice in televisione. Abbronzatissimo, capelli nero pece e maglietta arancio fosforescente, accarezza la ragazza che dorme sulle sue ginocchia.

«Scusa se ti disturbo. Capisci quello che dicono? E’ successo qualcosa?».

«No, niente. Sempre le solite cose», mi risponde annoiato.

«Ah, no perché pensavo, insomma credevo che magari Tsipras si fosse dimesso, e…».

«No, niente», mi liquida con evidente fastidio.

Torno al posto e cerco col cellulare su Reuters ma, in effetti, non c’è nulla di nuovo. La situazione è congelata. Intanto in tv sfilano l’ex primo ministro Karamanlis, che invita a votare “sì”, e una decina di altri politici e commentatori. A un certo punto compare anche il presidente venezuelano Maduro che ripete due volte, in spagnolo, con gli occhi impallati che “l’Europa sta succhiando il sangue alla Grecia”. E lo fa mimando con le mani un coltello che taglia dall’alto verso il basso un qualche vaso sanguigno dell’avambraccio.

Scendiamo al Pireo alle quattro del pomeriggio, il caldo è sopportabile. Ci accoglie una troupe di una qualche televisione anglosassone di terzo grado, pronta a immortalare la presunta “fuga dei turisti dalle isole”. Il tempo di rinfrescarci in hotel e si parte alla volta del centro. Alla stazione della metro le biglietterie sono chiuse. Dappertutto sventolano foglietti bianchi appesi alla bell’e meglio con il nastro adesivo. La scritta, a penna, è molto chiara: “Free pass”. Oggi – e almeno fino al giorno del referendum – i mezzi pubblici sono gratis.

referendum grecia noScendiamo a Monastiraki e subito siamo travolti dai volantini di comitati e gruppi spontanei pro Oxi, il no all’accordo. La piazza è affollata, vicino all’uscita della metro c’è un banchetto Oxi con una canuta attivista che parla al microfono. Al centro, vicino al monumento, si stanno assiepando le bandiere rosse con falce e martello del partito comunista greco. Dopo una decina di minuti un attivista con i capelli bianchi e la voce rauca inizia a parlare da un podio improvvisato.

A parte i comizi in piazza, la zona attorno a Monastiraki sembra essere la stessa di sempre. Un fiume infinito di persone, greci, turisti americani, francesi, inglesi, zaffate di gyros, nuvole di souflaki, patatine fritte e tzatziki come se piovesse e boccali di birra.

2. Dopo un gyros d’ordinanza contatto Yiannis, un amico giornalista greco che ora fa il producer per la Bbc ad Atene. «Sono a piazza Syntagma. C’è il rally dei comunisti. Dicono di no a tutto», mi scrive in un sms. Lo raggiungiamo mentre il sole sta tramontando. La piazza, simbolo di tutte le manifestazioni contro l’austerity, si sta svuotando. Il rally è terminato e anche il lavoro di Yiannis con la troupe inglese. Ci aspetta in un bar a un angolo della piazza. Ha una polo a righe ormai fradicia e due occhiaie pesantissime.

«E figurati che si sono anche sgonfiate», mi dice. «E’ da una settimana che lavoro senza interruzione, l’ultimo notiziario è alle 11 a Londra ma qui siamo due are avanti. Si lavora almeno fino all’1 di notte».

Entriamo subito nel vivo. Gli chiedo del referendum, chi vincerà, quali conseguenze potrebbero esserci.

«La settimana scorsa avrei dato per certa una vittoria netta del “no”. Ora sono molto meno convinto. Il “sì” è in crescita e poi i media e i politici di Pasok e Nea Dimokratia stanno montando una campagna scandalosa contro il “no”. Terrorizzano i cittadini, dicono che votare “no” significa uscire dall’euro, dall’Unione Europea, addirittura dal progetto Erasmus, quando sappiamo benissimo che non è vero. In teoria anche un default potrebbe avvenire rimanendo nell’euro, molti analisti l’hanno detto».

«E che succede se vince il sì?».

«Varoufakis ha già detto che si dimetterà. A Tsipras probabilmente non resterebbe che andare nuovamente ad elezioni. Per lui sarebbe il modo più dignitoso per uscire di scena, anche perché non è mai riuscito a gestire l’opposizione interna, i radicali. Il referendum è stata una mossa disperata».

Parliamo dell’ascesa di Syriza, della faccia pulita di Tsipras che ha ridato speranza ai cittadini.

«Tsipras è uno onesto. Come lui non ce ne sono oggi in Grecia», continua Yiannis. «Un’amica di mia mamma, che per trent’anni ha votato Nea Dimokratia, a gennaio ha votato Syriza. E’ un bravo ragazzo, mi ha detto. Ha gli stessi sogni, la stessa determinazione di mio figlio».

La discussione si fa sempre più accesa. Si parla di Germania, dell’intransigenza di Schäuble e del ruolo cruciale di Angela Merkel, sulla quale si ripongono ormai gli ultimi barlumi di speranza rimasti. «Alla fine deciderà lei e la Grecia rimarrà nell’euro».

Sono quasi le undici quando Yiannis ci deve salutare.

«Scusatemi ma domani ho mezza giornata libera. Finalmente posso dormire un po’», ci dice. «Poi la sera c’è il rally per il “si” con Tsipras che parlerà da Syntagma. E sabato sfileranno i sostenitori del no, allo stadio olimpico, quello storico, di marmo. Gente che non è mai scesa in piazza prima: fanno ridere nei loro vestiti firmati, i tablet sempre in mano a farsi foto mentre parlano con il broker», ironizza. «Ma vinceranno loro».

Prima di rientrare all’hotel passiamo a prendere una bottiglia d’acqua in un baretto di fronte al porto. E’ gestito da un pakistano che avrà cinquant’anni. Anche a lui, com’è ormai tradizione, chiedo se voterà e per chi.

«Sono cittadino greco, voterò», mi risponde. «E voterò per il “sì”. Non voglio che usciamo dall’Europa, sarebbe terribile». Come volevasi dimostrare.

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