La crisi del debito greco ha origini lontane. “I problemi finanziari sono stati una caratteristica costante nella storia della Grecia moderna. Le scelte politiche sbagliate, operate dalla classe dirigente, e la spregiudicatezza finanziaria delle grandi banche d’affari e degli istituti di credito internazionali, che le hanno sostenute, hanno ripetutamente messo in difficoltà l’economia greca”. Lo scrivono Alessandro Albanese Ginammi e Giampaolo Conte, dottorandi in Storia contemporanea e cultori della materia presso la cattedra di Storia economica di Roma Tre, nel libro “L’Odissea del debito, Le crisi finanziarie in Grecia dal 1821 a oggi” (In Edibus, 2015).

I due storici hanno analizzato come è nato, si è sviluppato ed è esploso il debito dello Stato ellenico. “Abbiamo scoperto – scrivono gli studiosi – che la Grecia non solo era già fallita altre volte, ma che l’indebitamento di fine Ottocento, analogamente a quello di fine Novecento e primi anni Duemila, aveva condotto all’istituzione di una commissione internazionale per controllare le finanze elleniche”.

Dalla fine, nel 1974, del regime dei Colonnelli, che ha segnato il ritorno alla democrazia greca, il debito sovrano ha cominciato a crescere sotto i governi del conservatore Konstantinos Karamanlis, padre fondatore del partito di centro-destra Nuova Democrazia e promotore dell’ingresso del suo paese nella Comunità economica europea. In quegli anni, l’economia ellenica era già in crisi: altissima inflazione al 26,4%, enorme deficit nella bilancia dei pagamenti e una profonda recessione.

Con Papandreou aumenta la spesa pubblica – Le cose sono solo peggiorate quando nel 1981 al potere è salito Andreas Papandreou, suprema guida del Pasok (Movimento socialista panellenico), tra l’altro inizialmente contrario all’adesione alla Cee che, a suo dire, “avrebbe consolidato il ruolo marginale del Paese come satellite del sistema capitalistico minacciando gravemente l’industria greca”. Papandreou, durante i suoi governi, ha promosso una politica “fondata su una enorme spesa pubblica improduttiva, finanziata a debito”. Decisioni criticate dal Fondo monetario internazionale, dall’Ocse e dalla Commissione europea secondo cui l’economia greca era “inchiodata a un circolo vizioso di bassi investimenti, di lento sviluppo, di deficit, di inflazione elevata”.

Dal Duemila stato sociale sempre più ipertrofico e poche tasse – Lo stato delle finanze non è migliorato con l’adesione della Grecia alla moneta unica, avvenuta il 2 gennaio 2001 come dodicesimo membro dell’Eurozona. I governi di Nuova Democrazia e Pasok, dal Duemila fino a oggi, hanno continuato a ingigantire lo stato sociale “senza tassare né le corporazioni né i redditi più alti”, sottolineano gli autori. “I posti di lavoro erano stati garantiti a tutti attraverso la nazionalizzazione delle compagnie private in perdita mentre i proprietari si erano arricchiti facilmente”. Questo, insieme all’alto costo delle Olimpiadi del 2004, aveva contribuito a far schizzare il debito oltre quota 150% del pil. “I governi erano costretti a emettere grosse quantità di titoli di Stato o a rinnovare quelli già esistenti a interessi crescenti precipitando così verso debiti ancora più profondi”.

Entra in scena la troika – Nel 2010 il premier socialista George Papandreou ha dovuto ammettere che i conti dei governi precedenti erano truccati e il Paese a rischio bancarotta. Inevitabile il declassamento del rating del debito ellenico a junk, ovvero spazzatura, da parte di Standard & Poor’s. Poco dopo il ministro delle finanze Giorgos Papaconstantinou ha annunciato che la Grecia non poteva sostenere il livello raggiunto dallo spread. E’ allora che è intervenuta la troika (Bce – Fondo monetario – Commissione Ue) con una serie di prestiti per risollevare i bilanci di Atene. Prestiti che hanno via via aumentato il peso del debito in un circolo vizioso che continua ancora oggi e lo ha portato a valere il 175% del prodotto interno lordo del Paese.

Debito su da 100 a oltre 340 miliardi in poco più di un anno – Le tappe sono presto dette: nel maggio 2010 la troika ha accordato un primo pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro, in cambio di una manovra lacrime e sangue con tagli a tredicesime e quattordicesime degli impiegati pubblici, aumento dell’età pensionabile, dell’Iva e di altre imposte, per un totale di 40 miliardi. A giugno è nato il primo fondo salva Stati, l’Efsf. Poco più di un anno dopo, nel giugno 2011, dopo nuovi declassamenti da parte delle agenzie di rating, Atene ha avuto già bisogno di altri fondi freschi e dalle capitali europee è arrivato il via libera a una nuova tranche di assistenza da 120 miliardi. Il 21 luglio nuovo vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Eurozona e nuovi aiuti per 109 miliardi, accompagnati da una rinegoziazione delle condizioni di rimborso: più tempo per restituire i prestiti e riduzione dei tassi di interesse.

La ristrutturazione del 2012 – Nel febbraio 2012 diventa evidente che la zavorra che grava sulle casse di Atene non è sostenibile, e l’Eurogruppo si accorda su un taglio di 107 miliardi del debito tramite la riduzione del valore dei titoli in mano ai creditori privati (haircut). Solo così si è evitato che il valore dei prestiti schizzasse al 240% del pil. Nel frattempo le misure di austerità previste dai memorandum collegati agli aiuti hanno come è noto imposto sacrifici molto pesanti alla popolazione, in particolare alle fasce deboli.

L’excursus storico, scrivono gli autori, ha dimostrato come “la Grecia abbia accettato più volte, dall’Ottocento ad oggi, di cedere la propria sovranità. Tuttavia, adesso, il nuovo primo ministro Alexis Tsipras potrebbe cambiare – non sappiamo se in positivo o in negativo – la storia non solo della Grecia ma anche dell’intera Unione europea”. E il libro termina con l’augurio che la crisi possa diventare “il trampolino per una generale purificazione e l’inizio di una svolta in positivo”.

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