In occasione della conferenza biennale dell’European Nuclear Safety Regulator Group (Ensreg), che si è tenuta il 29 giugno a Bruxelles, Greenpeace ha pubblicato un nuovo rapporto da cui emerge che l’Europa non ha imparato nulla dalla catastrofe di Fukushima, restando tristemente impreparata a fronteggiare l’eventualità di un incidente simile.

Il rapporto di Greenpeace offre un’analisi dei piani d’azione nazionali basati sugli “stress test” eseguiti sulle centrali nucleari europee in seguito al disastro nucleare di Fukushima del marzo 2011. Da questi stress test si evince che diversi Paesi europei non sono riusciti a mettere in atto adeguate misure di protezione contro terremoti, alluvioni ed esplosioni di idrogeno, mentre permangono carenze nell’installazione delle valvole di sicurezza che, in caso di incidente, consentono di evitare il rilascio di radioattività nell’ambiente.

Proprio la mancanza di queste valvole nel reattore di Fukushima aveva costretto gli operatori nipponici a dover scegliere tra il rischio di un aumento di pressione, che può portare all’esplosione del reattore, e il rilascio di radioattività all’esterno, con la conseguente contaminazione dell’ambiente e della popolazione.

Secondo l’analisi, le misure prese per aumentare la sicurezza delle centrali europee sono state frettolose e risultano insufficienti (come nel caso dell’impianto di Wylfa, nel Regno Unito). Inoltre, alcuni operatori hanno ritardato per anni le azioni necessarie in attesa delle valutazioni che richiedono tempi lunghi (come per esempio a Gravelines e Cattenom, in Francia). Altri enti regolatori hanno sostanzialmente ignorato i risultati degli stress test e deciso di non migliorare le misure di sicurezza per evitare costi aggiuntivi (come per esempio nella centrale di Temelín, nella Repubblica Ceca).

Per questo Greenpeace chiede che la Commissione europea e l’European Nuclear Safety Regulators Group diano seguito agli “stress test” con azioni più efficaci. Le centrali nucleari dovrebbero restare spente finché non vengano attuate le misure di sicurezza fondamentali. Dovunque questa operazione risulti difficile o impossibile per ragioni economiche, gli impianti dovrebbero essere dismessi quanto prima. L’Europa non dovrebbe lasciare in attività reattori vulnerabili ad attentati terroristici o ad atti di guerra.

La Commissione europea e l’Ensreg dovrebbero inoltre mettere in pratica azioni per migliorare i piani di emergenza e di risposta all’esterno dei siti, inclusi gli schemi per evacuazioni di massa e assistenza medica, e rafforzare la responsabilità civile in campo nucleare. Gli Stati europei al momento garantiscono solo una garanzia finanziaria limitata, compresa tra i 300 milioni e i 2,5 miliardi di euro, che non può coprire i costi di responsabilità civile in caso di incidente nucleare. Basti pensare che per il disastro di Fukushima i danni ammonterebbero a 300 miliardi di euro.

La lezione di Fukushima dovrebbe essere tenuta in considerazione nei piani di azione nazionali, che dovrebbero includere la gestione delle acque contaminate dopo un’emergenza, e prevedere la disponibilità sia di robot e di tecniche informatiche avanzate, sia di personale sufficientemente preparato e qualificato.

E da ultimo, ma non meno importante, gli enti regolatori e di controllo dovrebbero essere pienamente indipendenti. In tal senso vanno fatti passi concreti per recidere ogni dipendenza delle autorità di regolamentazione nucleare europee dagli operatori nucleari.

Articolo Precedente

Ilva, la Procura rifiuta il patteggiamento: “Danno ambientale da 1,8 miliardi”

next
Articolo Successivo

Fukushima, dal nucleare all’eolico in mare: un’altra energia è possibile

next