L’ambasciata Usa all’Avana riaprirà il prossimo 20 luglio. Lo storico passo è stato annunciato in una dichiarazione dal Rose Garden della Casa Bianca da Barack Obama, che ha chiesto al Congresso di cancellare l’embargo commerciale con Cuba. “Americani e cubani non aspettano altro che guardare al futuro – ha detto Obama, che ha aggiunto che “è tempo che il Congresso faccia lo stesso”. Riaprire le relazioni con Cuba “è un’ottima scelta per il turismo e per le nostre imprese che vogliono investire”, ha continuato il presidente, concludendo con l’auspicio di “non restare imprigionati dal passato”. Fonti del Dipartimento di Stato fanno sapere che Obama non ha ancora scelto la persona che diventerà ambasciatore Usa all’Avana. Sulla nomina, che ha bisogna della conferma del Senato, pesa però l’incognita della maggioranza repubblicana, contraria al riavvicinamento con il governo di Raul Castro.

L’annuncio della riapertura dell’ambasciata Usa rappresenta comunque un risultato importante per Obama. Il presidente è stato spesso criticato, soprattutto dai rivali repubblicani, per una politica estera che non è sembrata all’altezza delle promesse. In Medio Oriente, Obama non è riuscito a imprimere una svolta al processo di pace israelo-palestinese. Al contrario, il governo di Benjamin Netanyahu ha mostrato indifferenza, diffidenza, in alcuni casi anche aperto disdegno per le proposte che venivano da Washington. Non è andata meglio, per Obama, sulle questioni dell’Iraq – dove il governo e l’esercito di Baghdad paiono incapaci di contenere l’avanzata dell’Isis – e della Siria, travolta da una guerra civile di cui non si indovina la fine.

Ecco allora che Cuba pare davvero, almeno al momento, il lascito più importante dei due mandati di Obama come presidente degli Stati Uniti. L’annuncio dal Rose Garden della Casa Bianca arriva dopo 18 mesi di negoziati segreti sponsorizzati da Papa Francesco e dal governo canadese. Lo scorso dicembre lo stesso Obama e Raul Castro, separatamente, avevano annunciato la riapertura delle ambasciate nelle due capitali, Washington e l’Avana, oltre a una normalizzazione più complessiva delle relazioni. Lo scorso 29 maggio, Cuba era stata anche rimossa dalla “lista nera” degli Stati sponsor del terrorismo, in cui era stata inclusa nel 1982.

Il segretario di Stato John Kerry è ora atteso alla cerimonia di alzabandiera all’Avana, il 20 luglio, quando l’attuale missione diplomatica diverrà una vera e propria ambasciata. L’accordo, nei termini annunciati lo scorso dicembre, prevede anche uno scambio di prigionieri, ma soprattutto mette fine a 56 anni di scontro politico e diplomatico. Era il 1° gennaio 1959 quando i ribelli di Fidel Castro deposero il governo, appoggiato dagli Stati Uniti, di Fulgencio Batista. Due anni più tardi, il 3 gennaio 1961, il presidente Dwight Eisenhower chiudeva l’ambasciata statunitense all’Avana. Tre settimane dopo saliva alla Casa Bianca John F. Kennedy, protagonista di uno dei più clamorosi incidenti della politica estera americana del dopoguerra. L’attacco alla Baia dei Porci, organizzato dalla Cia dell’allora direttore Allen Welsh Dulles in collaborazione con un gruppo di cubani in esilio, fallì miseramente e rafforzò lo standing nazionale e
internazionale di Fidel Castro. Qualche mese più tardi, nell’ottobre 1962, la crisi innescata dalla presenza di missili nucleari sovietici a Cuba fu uno degli episodi più tesi della Guerra Fredda.

Più di cinquant’anni dopo quegli eventi, i Castro restano saldamente al potere nell’isola a sole 90 miglia dalle coste statunitensi. In piedi, ma in stato di totale abbandono, resta anche la vecchia ambasciata Usa all’Avana, diventata poi “sezione di interessi” statunitensi nell’isola, proprio di fronte al lungomare di El Malecon. L’edificio, secondo il Dipartimento di Stato, avrà bisogno di almeno 6,6 milioni di dollari per essere ristrutturato e tornare a funzionare come sede diplomatica ad alto livello. Da qui, da questi uffici, gli Stati Uniti dovranno gestire due questioni importanti per il futuro delle relazioni con l’Avana. Anzitutto il futuro della base navale di Guantanamo Bay, sull’isola, che gli Stati Uniti controllano dal 1903 e che i cubani vogliono ritorni sotto la loro sovranità. E poi la cancellazione dell’embargo commerciale imposto a Cuba, per cui è necessario un voto del Congresso a maggioranza repubblicana.

Su entrambe le questioni i repubblicani si sono sinora dimostrati piuttosto freddi. L’accusa a Obama è che il presidente si sia dimostrato troppo disponibile a un riavvicinamento con Cuba, rafforzando il governo di Raul Castro senza ottenere le necessarie garanzie di riforma in senso democratico e di rispetto dei diritti umani. Nell’opposizione alle aperture di Obama si è distinto soprattutto il senatore Marco Rubio, figlio di esuli cubani e candidato alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016. Rubio ha annunciato l’intenzione di opporsi alla nomina di un ambasciatore Usa all’Avana sino a quando “non vengano risolte importanti questioni legate al rispetto dei diritti umani”. Una normalizzazione dei rapporti con Cuba è invece chiesta dalla Camera di Commercio Usa e da molte tra le principali imprese americane. Con la normalizzazione dei rapporti, e l’apertura di un’ambasciata all’Avana, restano ora tre i Paesi con cui gli Stati Uniti
non hanno normali relazioni diplomatiche: l’Iran, la Corea del Nord e il Bhutan.

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