Sono 54 i componenti dell’ associazione a delinquere di tipo mafioso contestata dalla Dda di Bologna che ha chiuso l’inchiesta di ‘Ndrangheta ‘Aemilia’, con la notifica di 224 avvisi di fine indagine, atto che di solito precede la richiesta di giudizio. Nell’atto di 151 pagine firmato dal Procuratore Roberto Alfonso e da tre Pm, Marco Mescolini, Beatrice Ronchi, Enrico Cieri, appare confermata l’impostazione che portò a fine gennaio a 117 misure; una quarantina di persone sono ancora in carcere.

L’associazione per delinquere contestata “operante dal 2004 e tuttora permanente” fa capo a Nicolino Sarcone, Michele Bolognino, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri e Romolo Villirillo. E’ finalizzata, per la Procura, a commettere diversi delitti, estorsioni, usure, e ad “acquisire direttamente o indirettamente la gestione e il controllo di attività economiche”, anche nei lavori per il sisma del 2012, oltre che ad acquisire “appalti pubblici e privati, ostacolare il libero esercizio del voto” nel caso di elezioni dal 2007 al 2012 nelle province di Parma e Reggio Emilia.

Si tratta per la Dda di un “gruppo unitario emiliano portatore di autonoma e localizzata forza di intimidazione derivante dalla percezione sia all’interno che all’esterno del gruppo stesso, dell’esistenza e operatività dell’associazione nell’intero territorio emiliano, come un grande ed unico gruppo ‘ndranghetistico, con un suo epicentro in Reggio Emilia“.

Dell’associazione fanno parte, tra gli altri, come organizzatori l’imprenditore Giuseppe Giglio, Gaetano Blasco e Antonio Valerio, questi ultimi intercettati mentre ridevano dopo le scosse di terremoto. Tra i partecipanti al sodalizio, Giuseppe Iaquinta, il padre dell’ex calciatore della Juventus e della nazionale Vincenzo, anche lui imprenditore. Anche il nome dell’ex attaccante compare nell’avviso di chiusura indagine dell’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna. Secondo i Pm avrebbe violato, in concorso con il padre Giuseppe, alcuni articoli della legge ‘sul controllo delle armi’. In particolare l’ex calciatore avrebbe consapevolmente ceduto in una data imprecisata o comunque lasciato nella disponibilità del padre armi legittimamente detenute (un revolver Smith & Wesson, una pistola calibro 3,57 Magnum, una pistola Kelt-tec calibro 7,65) e munizioni. Il padre, però, aveva ricevuto un provvedimento dal prefetto di Reggio Emilia, nel 2012, che gli vietava di detenere armi e munizioni, a causa delle segnalazioni relative alla frequentazione con alcuni degli indagati. Il padre quindi risponde di aver illegalmente detenuto le armi nella sua casa nel Reggiano, e il figlio di avergliele consapevolmente date o lasciate nella disponibilità. Il reato contestato ai due ha l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione di stampo mafioso.

Sono confermate anche le accuse di concorso esterno all’associazione per il consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, l’ex assessore Pdl del Comune di Parma Giovanni Paolo Bernini, il costruttore Augusto Bianchini, la consulente fiscale bolognese Roberta Tattini, il giornalista Marco Gibertini. Nell’atto c’è anche Nicolino Grande Aracri, ritenuto un boss della ‘Ndrangheta, che in questa inchiesta non risponde però di associazione mafiosa, ma di estorsione. Tra gli accusati anche esponenti delle forze dell’ordine

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