Una giovane prostituta nigeriana uccisa come in un romanzo scritto da lui. Per questo la corte d’Assise d’appello di Torino ha condannato a venticinque anni e mezzo di carcere Daniele Ughetto Piampaschet, 37enne di Giaveno (Torino), aspirante romanziere. “Sono innocente. Stanno difendendo una banda di mafiosi”, è l’unico commento che l’uomo ha affidato ai giornalisti uscendo dal palazzo di Giustizia.

La vicenda comincia il 26 febbraio 2012 quando nel Po, all’altezza di San Mauro Torinese, viene scoperto il cadavere di una persona. È irriconoscibile, ma rielaborando le impronte digitali rovinate gli esperti della “Sezione per le indagini scientifiche” dei carabinieri riescono a risalire alla sua identità: si tratta di una prostituta ventenne nigeriana, Anthonia Egbuna. Il suo corpo però ha altri segni che il medico legale Roberto Testi, su incarico del pm Vito Sandro Destito, trova. Sono delle coltellate. La ragazza non si è tolta la vita, ma è stata uccisa. Quell’indagine ora ha un’ipotesi di reato, omicidio volontario e occultamento di cadavere, e comincia la ricerca dell’assassino.

Il 4 luglio 2012 i carabinieri si mettono sulla pista giusta grazie a un manoscritto trovato a casa della donna, “La rosa e il leone”, scritto da Daniele Ughetto Piampaschet. È un romanzo rivelatore: racconta la storia d’amore tra un uomo e una donna nigeriana che non vuole lasciare la strada, ragione per cui lui la uccide e poi ne getta il corpo in un fiume. Quelle analogie portano a focalizzare l’attenzione su Ughetto Piampaschet che viene fermato e poi arrestato il 21 agosto 2012: avrebbe commesso l’omicidio il 28 novembre 2011, l’ultimo giorno in cui il telefonino della ragazza dà segnali. L’uomo, allora 34enne, resta in carcere per quasi due anni, fino all’assoluzione arrivata il 9 aprile 2014. Per la Corte d’assise di Torino il fatto che alcuni dettagli biografici e della sua relazione con Egbunna fossero descritti nel manoscritto “sono e restano manifestazione dell’estro letterario del suo autore, descritto da numerosi testimoni come una persona buona e mite, mai violento o arrogante”, si leggeva nelle motivazioni nelle quali i giudici invitavano a cercare l’assassinio tra le maman e gli uomini che controllano la prostituzione.

La procura generale però non è convinta da quella pista che porta alla criminalità nigeriana. Così a maggio, all’apertura del processo d’appello, il sostituto procuratore generale Antonio Malagnino ha chiesto la riapertura del dibattimento. Per lui il romanzo inchioderebbe l’imputato perché il testo resta “il pilastro centrale attorno al quale ci sono tutti gli indizi che lo sorreggono”. Dopo aver ripreso gli atti dell’indagine, averli riletti e approfonditi, il pg ha fatto notare che, analizzando diversamente i dati sulle celle telefoniche a cui i telefonini di Egbunna e di Ughetto Piampaschet si sono agganciati il 28 novembre 2011, risulterebbe che i due si siano visti a Carignano e da lì avrebbero viaggiato insieme fino a Torino. Lì l’imputato avrebbe commesso una sorta di “sacrificio rituale” perché – ha spiegato Malagnino nella requisitoria con cui aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno – non poteva tollerare il fatto che l’anima della donna appartenesse a un altro uomo. Il suo avvocato, Stefano Tizzani, ha tentato fino all’ultimo di difenderlo: “Il ritrovamento del romanzo ha permesso alla procura di cucire addosso a Daniele Ughetto l’abito dell’assassino. Ma un conto sono le suggestioni di un romanzo, un altro è la realtà”. Inutile: il collegio presieduto da Fabrizio Pasi ha ritenuto che gli indizi e le prove portano ad affermare la responsabilità di Ughetto Piampaschet.

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