La situazione è inedita e preoccupante: dopo mesi di estenuanti trattative si è arrivati alla rottura con la Grecia. Un esito peraltro già scritto, visto che i creditori, e in particolare l’Eurogruppo, hanno sempre rifiutato di discutere il vero nodo della questione che è politico prima ancora che economico: la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerity che in questi anni di crisi ha acuito la recessione tarpando le ali a ogni politica volta a stimolare la crescita. Austerity che ha dei costi sociali elevatissimi per le classi medie e per le fasce più deboli della popolazione europea, ma che non c’è verso di modificare a causa dell’intransigenza dei cosiddetti “falchi”.

Falchi miopi, perché le loro pretese e i loro veti anziché rafforzare la costruzione europea rischiano di farla crollare. Ma tant’è: la Grecia ha bollato come inaccettabili le condizioni poste dall’Eurogruppo, ha deciso di sottoporre a referendum la firma dell’accordo e ha chiesto il prolungamento di qualche giorno del programma di aiuti per poter appunto arrivare al voto popolare. L’Europa accusa la Grecia di aver fatto saltare il negoziato e ha deciso di non concedere alcuna proroga al piano di aiuti. Risultato: Atene non potrà onorare la tranche di debito in scadenza il 30 giugno e sarà in default.

Cosa accadrà a questo punto e quali ripercussioni ci saranno nel resto d’Europa? Dalle varie cancellerie europee e da Bruxelles arrivano segnali tranquillizzanti, lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan getta acqua sul fuoco, sostiene che l’Italia è immune da contagio perché l’economia “si è molto rafforzata” e segnala che la Bce ha tutti gli strumenti per intervenire e che, se necessario, interverrà con tutto il suo peso. Si parla di default “controllato” che altro non vuol dire – almeno in una prima fase – il blocco dei capitali e la chiusura delle banche greche almeno per qualche giorno, nel tentativo di preservare un minimo di stabilità finanziaria e impedire una drammatica corsa agli sportelli. Ma quello che succederà in concreto nessuno può davvero saperlo perché mai, prima d’ora, un Paese dell’Eurozona si era trovato nelle condizioni di dover dichiarare fallimento. E soprattutto nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà a partire da lunedì sui mercati.

L’EUROPA HA MOLTI MEZZI, MA IL SISTEMA E’ FRAGILE – Oggi le condizioni sono molto diverse da quelle del 1992, quando un attacco speculativo costrinse Italia e Gran Bretagna a uscire dallo Sme, il Sistema monetario europeo. Ora abbiamo l’euro e un’unica banca centrale che ha molti mezzi e, soprattutto, una forte credibilità. Tuttavia il sistema è fragile: da un lato in Europa vi sono forti divisioni politiche e, dall’altro, la crisi ha ulteriormente ampliato il divario tra le differenti economie, portando anche Paesi come la Francia nell’area “debole” che include Italia, Spagna, Portogallo. In questo contesto, il default greco e l’ormai prossima uscita di Atene dall’euro possono portare i mercati a scommettere tout court sulla disgregazione dell’Eurozona, tanto più che anche Cipro si trova ormai sull’orlo del fallimento. Ad acuire la minaccia speculativa e a rendere potenzialmente più ricco il bottino vi è anche un fattore tecnico: l’enorme massa di liquidità e il livello artificialmente basso dei tassi d’interesse dovuti al quantitative easing della Bce, impegnata appunto ad acquistare titoli dalle banche nello sforzo di immettere liquidità nel sistema per cercare di far ripartire l’economia. Poche settimane fa qualcuno aveva definito come “occasione del secolo” i tassi d’interesse negativi dei titoli di Stato tedeschi e subito sul mercato erano scattate le vendite determinando un’improvvisa risalita degli stessi tassi d’interesse. Un movimento di mercato, ma anche un segnale. Il default greco può essere a sua volta considerato “un’occasione del secolo“?

LA MINACCIA DELLA SPECULAZIONE FINANZIARIA SULL’ITALIA – Se la risposta è sì, assisteremo a una bufera finanziaria senza precedenti e – per quante munizioni abbia la Bce – anche in uno scenario “morbido” (cioè con la speculazione costretta a battere in ritirata), il rischio concreto è quello di veder vanificata in un attimo ogni possibilità di ripresa economica. I Paesi più deboli e indebitati, come l’Italia, tornerebbero inesorabilmente in recessione con conti pubblici drasticamente peggiorati anche a causa dell’aumento dello spread. Uno scenario più aggressivo, per quanto riguarda l’Italia, potrebbe riportare lo spread ai livelli dell’autunno 2011 (vigilia delle dimissioni del governo Berlusconi e dell’insediamento di Mario Monti) o anche oltre, creando enormi problemi di stabilità finanziaria e portando di fatto il Paese in una situazione pre-fallimentare.

E L’USCITA PILOTATA DI ATENE DALL’EURO – Se invece i mercati valutassero il default della Grecia come un qualcosa che non è destinato a mettere in discussione l’euro, allora avrebbero ragione i demiurghi di Bruxelles che valutano possibile far fallire un Paese dell’Eurozona mantenendolo nell’euro per poi magari pilotarne l’uscita in un modo non eccessivamente traumatico. Lo stesso Fmi, secondo quanto dichiarato dal suo portavoce, potrebbe decidere di non chiedere ad Atene il pagamento della rata da 1,6 miliardi, ma limitarsi alla messa in mora concedendo di fatto ancora qualche settimana di tempo alla Grecia che il 5 luglio, piaccia o no, si esprimerà sulla firma del piano dei creditori con un referendum carico di significati politici in un momento di fortissima tensione. E’ abbastanza evidente che – a Paese ormai in default – un’adesione referendaria al piano della ex Troika equivarrebbe a una resa senza condizioni ai creditori che poi andrà gestita. Chi la gestirà? Che responsabilità anche politiche intende assumersi l’Europa?

LA TERZA VIA PORTA A MOSCA E PECHINO – L’altra strada che si apre, in caso di vittoria del fronte contrario all’austerity, è quella di un rapido ritorno alla dracma e di relazioni più strette con Russia e Cina. Insomma, comunque vada, per l’Europa è un disastro e per l’Italia – attacchi speculativi o meno – la strada si fa sempre più in salita.

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