Il magro accordo raggiunto a Bruxelles sulla ripartizione dei migranti non è altro che il frutto dell’egoismo nazionale e della mancanza di una politica immigratoria davvero europea. Brindano, a torto, gli euroscettici.

L’Europa se ne frega? Da mesi si dice che del problema immigrazione in Italia “l’Europa se ne frega”. Sbagliato. La verità è che se ne fregano molti dei governi nazionali che compongono l’Unione europea e che quando c’è da dimostrare solidarietà senza alcun ritorno spiccio invece che un passo avanti ne fanno due indietro.

La Commissione europea c’ha provato. Quella che viene additata spesso come un “mostro di euroburocrazia” ha provato fino all’ultimo a far passare un sistema di ripartizione con quote obbligatorie dei 40mila migranti che ad oggi si trovano in Italia e Grecia. Una goccia nel mare ma dal forte valore politico in quanto, se tale obbligatorietà fosse passata, avrebbe costituito un precedente fondamentale in tema di condivisione di responsabilità sull’immigrazione a livello europeo.

Tusk ha fatto “il polacco”. Jean-Claude ha provato fino alla fine a imporre la “maggioranza qualificata” invece che il “consenso unanime” nella votazione sulle quote di migranti da ridistribuire che si terrà i primi di luglio tra i 28 ministri degli Interni. Non ce l’ha fatta ed è passata invece la soluzione più difficile: tutti dovranno essere d’accordo, basterà un solo Paese a far saltare tutto. Donal Tusk, presidente del Consiglio europeo, voleva addirittura inserire le parole “su base volontaria” nelle conclusioni del vertice, pensando evidentemente più alla sua Polonia – restia ad accogliere altri migranti – che all’interesse dell’intera Europa che, in teoria, dovrebbe rappresentare.

Il paradosso euroscettico. Questo accordo al ribasso – checché ne dica Renzi – farà paradossalmente il gioco degli euroscettici, di quelli che criticano l’Europa perché “se ne frega” quando sono proprio gli stati nazionali – livello politico al quale vorrebbero riportare ogni questione della vita di tutti i giorni – che vogliono rispondere picche all’Italia – in prima linea Ungheria, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria. In realtà l’Italia si trova a pagare le conseguenze di un’Unione europea ancora troppo debole per imporre il metodo comunitario a quello intergovernativo dove le varie capitali europee fanno gli interessi dei propri “popoli”, come direbbe Salvini.

Il problema è che a Londra, Budapest, Praga e così via, dei problemi di Roma importa molto poco e quindi, senza Bruxelles, l’immigrazione nel Mediterraneo resta un affare italiano e greco.

@AlessioPisano

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