Kuwait: attentato suicida nella moschea di Al-Imam al-Sadeq, durante le preghiere del venerdì, con almeno 25 morti. La questione sunniti/sciiti divampa letteralmente e i Paesi del Golfo, ricchi di tutte le loro ambiguità, ne fanno le spese. Tutto ciò a un mese dai primi attacchi suicidi nella stessa Arabia Saudita: nessuno è al sicuro.

Francia: un morto decapitato nell’attacco alla Air Products a Saint-Quentin-Fallavier (Grenoble). Una infrastruttura critica che produce gas colpita: il danno avrebbe potuto essere rilevante proprio per questa sua caratteristica, ragione della scelta del bersaglio. Il commando ha usato le “non” armi indicate nei processi di formazione via rete da IS: automobili, bombole, niente AK47 e, soprattutto, nulla di costoso. Improbabile che si tratti di sprovveduti lone wolf: sono entrati essendosi impossessati di un furgone abilitato a entrare, avendo ammazzato e decapitato il proprietario. Come al solito la dimensione simbolica è presente, ma non la voglia di farsi saltare in aria: hanno puntato con l’auto alle bombole e alla fine sono scappati. Chi? Vecchie conoscenze, con simpatie salafite, cittadini francesi d’origine nord africana.

Tunisia: a Sousse in due resort turistici oltre 30 morti. Questa volta l’attacco è venuto dal mare (lo avevamo ipotizzato su ITSTIME) ed è tornato a colpire il turismo: un asset strategico per la Tunisia che, nella profonda crisi economica in cui si troverà dopo il bis del Bardo, corre il rischio di incrementare il numero dei simpatizzanti per IS. Già ha il rapporto combattenti su popolazione più alto dell’area (22 ogni 100.000 abitanti, contro un 2 o 3 di Algeria a Marocco). Un attacco all’unica democrazia plausibile in Nord Africa: la democrazia è il nemico da combattere per il Califfato.

Oggi, un venerdì nero come le bandiere di IS segna il mondo.

Ci sarà molto da commentare nei prossimi giorni sulle modalità operative.

Ma non si perda d’occhio l’attacco sistemico che IS – adesso – sta portando sconvolgendo il mondo musulmano (Kuwait), tornando sul luogo del delitto (Francia e Tunisia) e attaccando Kobane ieri.

Sono eventi che fanno seguito a settimane che hanno visto prima il video di promozione del Jihad nei Balcani, poi la nuova rivista (Kostantiniyye) diretta ai turchi, per conquistarne “cuori e menti”. Una strategia di penetrazione globale che si è dinamizzata nel breve arco di un mese.

Questo Ramadan è assai caldo e IS dimostra di perseguire un disegno strategico di ampio respiro con una molteplicità e diversità di azioni sui diversi fronti. La regia c’è: non è la regia che rimanda alla catena di “comando e controllo” a cui eravamo abituati: il modus operandi non è più quello delle cellule formate per colpire un obiettivo specifico con un piano adeguato. Ormai si tratta di una regia che conta su un esercito in crescita, delocalizzato e diffuso, che dimostra un certo livello organizzativo e militare di base, dotato di uomini indottrinati a cui è sufficiente l’indirizzo generale a colpire, per declinarlo flessibilmente in termini operativi.

Prima dell’avvio del Ramadan, IS aveva annunciato che sarebbe stato un Ramadan di sangue, invitando i suoi a terrorizzare con la massima violenza i nemici: è stato puntualmente fatto. La regia oggi funziona in questo modo. Gli zombie, o il terrorismo molecolare come anche si dice, è fatto così ed è abilmente promosso e sfruttato dal Califfato.

Questo è IS. La più grande minaccia con la quale ci siamo mai confrontati: occidentali e musulmani e di tutti i colori. Non è questione di fede o cultura, ma di appartenenza a una dimensione ‘altra’, quella del Califfato, che non ha diritto di cittadinanza se non in un ‘altrove’ non accettabile.

Si discute sulle ragioni e le cause dalla grande fascinazione del Califfato ritrovandole, con frequenza, nella perdita di valori del mondo globale incapace di offrire una proposta di vita ai molti giovani che si trovano naufraghi nella crisi. E’ una argomentazione consistente, alla quale pensare per avviare strategie di cambiamento necessariamente a lungo termine. Importante, tuttavia, è che questa regione, che costringe il mondo a una riflessione su se stesso, per la quale probabilmente troverà delle criticità che gli appartengono non venga scambiata per una giustificazione di quanto avviene. Le ragioni del terrorismo si ritrovano spesso nella società che lo esprime e che ne è anche vittima, ma questa colpa può essere solo ragione di cambiamento riflessivo, mai di giustificazione degli atti.

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