Dicevamo ieri che la tv generalista, data da tempo per moribonda, è invece piuttosto arzilla, considerato che sia Sky che Discovery hanno puntato dritto a comprarsi la titolarità la prima del tasto 8 e la seconda del tasto 9 del telecomando, dichiarando di volervi fare proprio una tv di tipo generalista. Ci ha commentato Michele Mezza, un nuovista patentato ma non avventato, che, tanto per dire, molto prima di altri aveva previsto e pre-descritto la crisi del giornalismo al tempo di internet (è appena uscito il suo ultimo libro “Giornalismi nella rete” da Donzelli editore).

A suo parere quello che è morto è il “generalismo di una volta, con pochi canali guida che assorbivano il 75% dell’audience”, mentre quello che si va affermando è un generalismo sparpagliato, distribuito su canali dalle audience ridotte. Un generalismo che sarebbe la negazione del generalismo stesso. Un fenomeno minore dentro il ben altro che accade nel mondo dei media al tempo di internet. Può darsi e se ne potrebbe parlare a lungo. Ma, intanto, a noi pare che con la discesa di Sky e Discovery nel campo generalista italiano qualcosa di molto rilevante comunque accadrebbe.

E cerchiamo di spiegarci. Per quaranta anni siamo rimasti nel “generalismo del duopolio” che si avvaleva (si avvale) di un numero spropositato di canali (tre+tre, senza pari nel mondo) per saturare l’offerta di spot e rendere impossibile la vita a competitori terzi. Basti pensare alla difficoltà di La7 di sfruttare le fasi fortunate della sua audience per il solo fatto di dover fronteggiare la concorrenza asimmetrica di Publitalia che può allettare e fidelizzare i clienti grazie alla cornucopia di spot a basso costo-contatto, collocati sul tridente generalista della casa (Canale5, Italia1, Rete4). È dunque per ragioni strettamente duopolistiche che noi, e noi soli, abbiamo da sempre, un generalismo sovrabbondante in canali, nessuno paragonabile per ascolto a BBC, TF1 o ARD. Nel suo ambito le regole del gioco sono state sempre chiare, anche se non potevano essere dichiarate perché erano, e sono, totalmente consociative laddove in teoria dovrebbe esserci concorrenza. Mentre, al massimo, si arriva alle punture di spillo che sui giornali diventano “guerra degli ascolti” e “scontri all’ultimo sconto” (nella vendita degli spot).

Il punto è: questo tran tran verrebbe rafforzato o messo in discussione dall’arrivo sui primi tasti del telecomando di due gruppi televisivi potenti come Sky e Discovery? Questi sarebbero in grado di contendere davvero al duopolio fette consistenti della torta della pubblicità destinata ai canali generalisti (una torta oggi ridimensionata, ma tuttora la più grande)? Ma prima ancora: vorranno farlo per davvero o si limiteranno a caricare la pistola senza sparare, al solo scopo di minacciare rappresaglie ove il duopolio continuasse con un numero inusitato di canaletti, a molestare i loro business principali: per Sky la pay, oggi per di più insidiata da Netflix &C; per Discovery la tv free di target? E cosa farà Cairo con La7 e le frequenze che si è comprate di fresco? Resterà solo soletto o intreccerà alleanze? E se urto ci fosse, quanto potrà reggerlo Publitalia, che alimenta radice, tronco e fogliame nei privilegi del socio forte del duopolio?
Insomma, per essere un morto che cammina, il generalismo più o meno sparpagliato si dà, almeno da noi, un gran da fare. E vedrete, saremmo pronti a scommetterci, che è lì che, smaltite le urgenze della governance Rai, cercherà di mettere radici un nuovo patto di sistema dopo quello scolpito trenta anni e passa anni fa nella pietra della I Repubblica.

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