“Vogliono trentamila (euro, ndr), quindici Luca e quindici Ferrari, oltre al pacchetto di cento“. Così parlò Salvatore Buzzi tirando nella mischia Alfredo Ferrari. Lo si legge nell’ordinanza di custodia cautelare alla basa della seconda ondata di arresti dell’inchiesta Mafia Capitale. Ora il presidente della Commissione Bilancio del Comune di Roma ha annunciato la propria decisione di autosospendersi dal Partito Democratico, ma resterà in carica nell’Assemblea capitolina.

“Ho riflettuto a lungo in questi giorni difficili per la nostra città – si legge nella nota diramata dal consigliere Pd – e ho preso la decisione di autosospendermi dal Partito Democratico. Decisione questa che nasce dalla voglia di contribuire a ristabilire un clima di serenità, sia per Roma che per i colleghi. Essendo tuttavia estraneo ai fatti illeciti che mi sono stati nei giorni scorsi attribuiti, confido che la magistratura saprà fare presto chiarezza sulla vicenda romana”. “Parlano per me la mia storia personale – scrive ancora Ferrari – e gli anni che ho trascorso sui banchi dell’Assemblea Capitolina al servizio dei miei concittadini per i quali nutro un profondo rispetto. Come del resto nutro rispetto per la comunità del Partito Democratico che a Roma ho contribuito a fondare. Continuerò per questo a svolgere il mio compito di consigliere con impegno e dedizione”.

Per quale motivo, secondo i pm di Roma, Salvatore Buzzi parla di Ferrari? La questione è quella dell’approvazione delle delibere per i debiti fuori bilancio, ovvero le spese del comune non previste dal bilancio annuale e quindi non vincolate da alcuna programmazione ufficiale, uno dei sistemi escogitati per foraggiare le coop controllate o vicine alla cupola. Nel caso di Ferrari, si legge nelle carte, l’affare è quello dell’assistenza ai minori stranieri non accompagnati. Il contesto lo inquadra un sms inviato da Buzzi il 3 luglio 2014 a Francesco Ferrara, dirigente della cooperativa La Cascina: “Per la delibera Misna (relativa all’assistenza ai minori stranieri non accompagnati, ndr) debiti fuori bilancio al momento non è all’odg della commissione bilancio presieduta da Ferrari. Se non passa in commissione non può essere votata in consiglio. I tempi sono stretti, è necessario attivarsi subito. Un saluto, Salvatore”.

Bisogna attivarsi, interessare gli uomini giusti e oliare il sistema. E’ il 17 settembre 2014. Nel primo pomeriggio nei locali della cooperativa 29 giugno in via Pomona, Buzzi è a colloquio con due persone “allo stato non identificate”, scrivono gli inquirenti, e parla dell'”esistenza di un accordo per l’approvazione della delibera per il debito fuori bilancio”. “Con Ferrari (Alfredo Ferrari, ndr) – spiega il ras delle cooperative sociali – vogliono trentamila, quindici Luca (Luca Giansanti, ndr) e quindici Ferrari, extra del pacchetto di cento, tant’è vero che già è uscita l’agenzia che è Ferrari che cambia i numeri in bilancio, (incomp.) dietro gli altri, perché non mi va di dire agli altri che Luca e Ferrari pigliano i soldi“. Quindi, si legge ancora nell’ordinanza, “si sviluppava una conversazione su come suddividere la somma richiesta tra i soggetti aderenti all’accordo e sui reali destinatari degli importi versati”.

Buzzi racconta ancora che per portare a termine il proprio compito Ferrari avrebbe preteso gli stessi soldi garantiti a Mirko Coratti, presidente dell’Assemblea capitolina arrestato: “Ferrari c’ha detto ‘quanto Coratti’ sennò io… non faccio un cazzo!’. Tutti così ormai sono”. I tre, scrive ancora il gip, “ribadiscono poi il fatto che, dopo quaranta minuti dall’incontro tra Buzzi e Ferrari, quest’ultimo aveva fatto uscire un’agenzia stampa relativa al parere che sarebbe stato a breve emesso sulla delibera per il debito fuori bilancio”.

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