Alcuni avvenimenti avevano avvicinato l’azienda simbolo dei cancelli automatici a una dynasty televisiva. Oggi l’esito della storia propone un modello di gestione innovativo e non stupisce che il suo autore non sia una società di consulenza blasonata bensì l’Arcidiocesi di Bologna. Ricordo brevemente la vicenda. Sino a poco tempo fa Faac era una multinazionale tecnologica posseduta al 66% da Michelangelo Manini, figlio del fondatore, e per il 34% dai francesi di Somfy, un gigante del settore controllato da una ricca famiglia francese. Una tradizione quella dei francesi che fanno shopping in Italia: i Pinault nel lusso, i Besnier in Parmalat, Bollorè nella finanza e in Telecom Italia, per limitarci a qualche caso.

Nel 2013 l’imprenditore muore lasciandola alla Chiesa Cattolica (una delle donazioni di maggior valore nella storia) e si apre un contenzioso tra i parenti e l’Arcidiocesi, a cui la Chiesa ha attribuito la proprietà. Nel frattempo i soci di Somfy si fanno avanti con offerte mirabolanti di acquisto, si dice, per un miliardo di euro. In situazioni simili, e per cifre molto inferiori, famiglie imprenditoriali italiane hanno venduto per dedicarsi alla finanza, all’immobiliare e, perché no, alla bella vita! Scelte indiscutibili della proprietà, qualcuno potrebbe dire. Salvo poi lamentarsi che il Paese perde posizioni ed occupazione, come esperienze recenti purtroppo dimostrano.

Questa volta è andata diversamente. L’Arcidiocesi guidata dal cardinale Carlo Carraffa, con una manovra degna di von Clausewitz, è riuscita in quello che spesso non riesce al governo o alle istituzioni finanziarie italiane: difendere l’impresa oggi e assicurarle un domani. Ha trovato un accordo con i parenti e ha liquidato la partecipazione di Somfy. Infine, ha introdotto un modello innovativo di controllo che garantisce all’azienda un futuro, all’ombra delle Due Torri, evitando alla Chiesa il problema spinoso di gestire una multinazionale. Un Trust avrà per una durata massima trentennale la nuda proprietà ed i diritti di voto, mentre i dividendi rimarranno a beneficio dell’usufruttuaria Arcidiocesi. I tre fiduciari della gestione non potranno essere rimossi per un periodo di ben 5 anni.

Molti i benefici su cui riflettere: il mantenimento della proprietà italiana in un settore tecnologico avanzato; di riflesso, la testa dell’azienda (e l’occupazione) resta a Zola Predosa nella sede storica; un orizzonte temporale lungo per gli investimenti; la separazione tra la proprietà e il controllo del management. In sintesi, una soluzione industriale e non una strada finanziaria per realizzare una straordinaria sopravvenienza.

Un suggerimento per affrontare la transizione in altre imprese famigliari ma anche, sotto aspetti diversi, per la politica economica. In questi giorni il governo ha cambiato il vertice della Cassa Depositi e Prestiti, nominando due reputati banchieri. Non sarebbe il caso di avere persone con competenze industriali sul ponte di comando del colosso pubblico, un motore fondamentale negli investimenti del paese?

Articolo Precedente

Il bastone da selfie è l’oggetto dell’anno

next
Articolo Successivo

Piano nazionale aeroporti, il paradosso dei due testi in Parlamento: a quale fare riferimento?

next