Se fosse una canzone, per Francesco Guccini sarebbe la sua Gli amici. C’era anche lui sul palco di una Piazza Maggiore gremita a raccontare, assieme a scrittori, artisti, cantanti e professori, tra cui Alessandro Bergonzoni, Valerio Massimo Manfredi, Romano Prodi, Ezio Bosso, Paolo Grossi, Fabio Curto e Samuele Bersani, i suoi anni all’Università di Bologna. Che in occasione della sua prima Reunion, il raduno mondiale di tutti gli ex studenti laureati all’ombra delle Due Torri, il 20 giugno ha scelto di ricordare la sua quasi millenaria storia attraverso uno spettacolo sul Crescentone, cuore della città. Interpreti, dottori, o quasi dottori, d’eccezione, che lasciate le aule di via Zamboni hanno finito per percorrere in lungo e in largo l’Italia intera. Lo spirito è quello di una rimpatriata: una canzone, una lettura, uno sguardo al futuro partendo dai corridoi dell’ateneo più antico del mondo. Un Amarcord non troppo nostalgico, che nel rievocare la lunga vita dell’Alma mater bolognese, tra i suoi studenti celebri Thomas Becket, Niccolò Copernico, Carlo Goldoni, Giosué Carducci, Giovanni Pascoli e Pier Paolo Pasolini, ha finito per raccontare un po’ anche la storia dell’Italia.

“Se dovessi dedicare una canzone ai miei anni da studente – racconta Guccini, che all’università della Dotta si è iscritto, poi ha lasciato, poi è tornato, senza mai indossare l’alloro – sarebbe Gli amici. Perché in qualche modo parla di quelle nottate in osteria davanti a un bicchiere di vino, a suonare e a cantare. L’immagine che serbo dell’università è quella della giovinezza, della Bologna degli anni 60’, così diversa da com’è oggi, della forza di fare e di provare a cantare. E tutto si riassume nella voglia di vivere, di essere”. “Poi studiavo anche”, scherza il maestrone, 75 anni appena compiuti, che come professore ha avuto Ezio Raimondi, anche se poi la tesi non l’ha mai finita. “Avevo dato gli ultimi esami, con voti abbastanza alti anche, poi però la musica mi ha distratto. Quando, anni dopo, ho scritto il dizionario in dialetto ho pensato ‘ecco, è la mia occasione per laurearmi’. Ma in segreteria mi hanno detto che avrei dovuto versare tutte le tasse universitarie arretrate, eravamo a metà degli anni 80’, e l’ultimo esame l’avevo dato negli anni 70’, quindi ho pensato: ‘magari no’”.  La pergamena alla fine è arrivata con la laurea honoris causa in Scienze della formazione, nel 2002. “Ma il percorso di studi per me è stato importante”.

Così come per Rula Jebreal, che ha lasciato l’orfanotrofio di Gerusalemme in cui viveva per venire a studiare a Bologna con una borsa di studio. “L’università mi ha cambiato la vita”, racconta la giornalista dal palco. O per Chiara Gamberale e Paolo Buonvino, rispettivamente scrittrice e musicista. Entrambi studenti fuorisede, entrambi a inizio carriera ai tempi delle ore spese in aula a fare lezione. “Il mio primo romanzo l’ho scritto negli anni dell’università – racconta Gamberale – è lì che ho imparato che la famiglia è dove la famiglia si fa, un concetto che poi nei miei libri è rimasto molto presente”.

Poi c’è anche chi si è laureato in qualcosa che alla fine non ha mai praticato. Vedi Alessandro Bergonzoni, dottore in Giurisprudenza con i piedi sempre sul palcoscenico. “Il successo è far succedere, ci fa sentire qualcuno, ma perché non cominciamo a sentire anche gli altri, oltre a noi stessi? E agli studenti dico: dovete agire, essere l’antemafia, che viene prima dell’antimafia, e l’antecorruzione, che precede chi combatte la corruzione”.

Critica, invece, è la voce dell’ex premier Romano Prodi, fresco di ritorno da Mosca, dove ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin. Prima di fare il ministro della Giustizia, dell’Industria, il presidente del Consiglio, quello della Commissione Ue e il fondatore dell’Ulivo, tra le altre cose, del resto, è stato, ed è ancora oggi, professore. “All’università – sottolinea Prodi, dal palco della Bologna dov’è nato il partito che, sotto forma di 101 franchi tiratori, l’ha silurato durante la corsa al Colle, cioè il Pd – mancano risorse, finanziamenti anche da fuori, manca l’autonomia di impegnarsi in settori nuovi, c’è troppa burocrazia, troppa standardizzazione. Questi sono i cambiamenti che consentirebbero a Bologna di scalare le classifiche mondiali”. Concetti forse impopolari alla festa dell’ateneo, che per celebrare la Reunion ha investito circa 200 mila euro, più altri 300 mila provenienti da sponsor e donazioni. “Ma a 76 anni, rottamato, devo anche essere popolare?”.

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